Prosegue il laboratorio di poesia randagia con la prima pubblicazione
allegata alla rivista Il Salotto degli Autori, n. 56 dell'Estate 2016:

 

Note della poesia

Il giorno che il sole ha posato le ali
la notte ha steso mantelli di catrame
per spegnere la luce nel cuore
ombra della solitudine:
eterna è la nostalgia
tormento di artisti e poeti
all’alba sposati al silenzio:
risposte mai arrivate
ad amori impossibili.
Niente sposta le lancette monotone
del cuore venduto agli affetti
andati via e senza ritorni.
Gioca ora col vento un nome
in mezzo a nuvole senza patria
ormai rassegnato al silenzio.

(16/06/16)


Se il tempo...

Il senso delle cose
lascia orizzonti vuoti:
parte dell’universo
offre garofani al ritorno
e legge negli amori impossibili
tutti i perché della vita.
Agli amici il ricordo
ruba i giorni più belli:
anni senza storie
nomi fa dimenticare.
Dare respiro al sogno
andare a visitare il tempo:
giorni senza ore
inchiodati negli angoli del cuore
o nel nome dei fiori più belli.

(19/06/16)


Giorno stanco e senza amore

Il giorno riposa stanco e al mare
lente ore trasporta:
parlano al cuore
onde passeggere
ed al mondo regalano
tetti senza riparo
allarmi inutili ai respiri del cuore.
Rondini tessono danze
al sorriso del viandante distratto,
nascono nuovi germogli
dalle cadute d’affetti tardivi
amori vissuti senza parole
giorni dimenticati e persi:
il sole ritorna a feste passeggere:
ogni ora un ricordo per sempre.

(19/06/16)

Dorme il poeta

Il poeta dorme ai perché della vita:
la donna che portava i gelsi
parla soltanto alle cicale:
ormai i compleanni non chiamano
entusiasmo di amici.
Tristezza ed orgoglio allo stesso tavolo:
allegrie scomparse per sempre.
Ruggisce il cuore ai vent’anni,
alla poesia compagna di vita:
non si torna indietro:
dormono i ricordi nella casa caduta
al sole ed alla pioggia
gridano aiuti silenziosi:
il giorno dei sorrisi gratis
ondeggia in attesa di primavere.

(21/06/16)


Le ore interrotte

Il sonno cerca riposo:
lanterne accese tutta la notte
per il poeta e le speranze.
Ogni nome stampato nel cuore
entra nella storia di universi:
traiettorie senza ritorni.
Andare a visitare i giorni buttati
rendere alla vita silenzi e noie.
Amore vissuto sulle ali dei gabbiani
notti colorate di gioia e notti senza sonno.
Dai tuoi sguardi il sorriso piegava
allusioni e ricordi.
Giorno di luce rubata al sole
in pause improvvise
o in giornate di nuvole
a passeggio.


Il vecchio e la pipa

I cerchi nell’aria inseguono
lente passeggiate
parole che col vento
oltrepassano i limiti
e si posano sulle antiche carezze
trafitte dai ‘no’ della vita.
Ritorna e racconta storie
alla memoria il poeta:
ninne-nanne e chicchi di grano,
dalla terra profumi senza tempo
al cuore di chi a stento disegna
giochi lontani ai ritorni.
Il giorno cammina senza lancette:
ore inseguono il big-bang.


L’infanzia tornata

Il sapore agrodolce invade
la vita dei campi:
poeta bambino e sempre randagio:
ondeggiano al vento
e si perdono in vie sempre più tristi
tante note strappate al pianoforte solitario.
Arriva a volte la luce
richiamo ai giorni più allegri
ai giochi costruiti nei cortili:
navi in partenza carichi di stelle
dentro il cuore radici
amici persi per sempre:
grandine ed acqua
il vecchio raccoglie
ormai stanco di vite e di stenti.


All’ombra d’un albero in fiore

Il giorno offriva alla sera
la quiete rubata alle nuvole
partenze ed arrivi improvvisi
oceani e barche a vela.
Erano gli anni della fantasia
tramonti ed orizzonti lontani:
andare a trovare i ricordi
regalando brandelli di sogni
a realtà confuse e senza domani.
Nuvole grigie sul mare
dentro il cuore sospiri:
avevi il carro e le calamite
giocavi senza domande:
il giorno regalava alla notte
orologi senza lancette.



Recensione di Clotilde Cardella

Calogero Cangelosi risponde puntualmente all’appello che la poesia gli rivolge ormai quasi quotidianamente. La sua vena poetica, sempre intrisa di nostalgia, appare stavolta velata di tristezza, quasi a rasentare la sfiducia negli uomini e nel domani (realtà confuse senza domani). Anche gli elementi della natura esprimono questa sofferenza (grandine e acqua il vecchio raccoglie ormai stanco) e la poesia, che é sempre stata sua compagna di vita, diventa “tormento” perché lo obbliga a scrivere della sua nostalgia per il tempo che è stato e più non sarà. Il poeta in questi nuovi versi ha smarrito “il senso delle cose” e tutto gli appare vuoto e “rassegnato al silenzio”. Ma, timido e quasi nascosto, un verso fa capolino nella poesia intitolata SE IL TEMPO ...(“dare respiro al sogno”). Ecco allora apparire un barlume di speranza e ancora una volta il poeta randagio ritrova il suo filo d’Arianna. E la vita continua...



Recensione di
Maria Elena Mignosi Picone

Sotto il titolo “Poesie randagie” l’autore Calogero Cangelosi ha raccolto otto suoi componimenti poetici: “Note di poesie”; “Se il tempo…”; “Giorno stanco e senza amore”; “Dorme il poeta”; “Le ore interrotte”; “Il vecchio e la pipa”; “L’infanzia tornata”; “All’ombra di un albero in fiore”.
Anche se le due ultime poesie sembrano introdurre a qualcosa di gioioso (l’infanzia tornata) o di invitante (all’ombra di un albero in fiore), però poi vi troviamo versi quali “si perdono in vie sempre più tristi / tante note strappate al pianoforte solitario” o “ il vecchio raccoglie / ormai stanco di vite e di stenti” oppure nell’altra “andare a trovare i ricordi / regalando brandelli di sogni / a realtà confuse e senza domani”. Quell’atmosfera che si presagiva lieta dal titolo, in effetti poi non c’è.
Come non c’è a maggior ragione nelle altre che già portano un titolo triste, come ad esempio “Giorno stanco e senza amore”.
Il pessimismo è dunque l’impressione che suscita la lettura di tutte le poesie, che emerge in espressioni ove elemento ricorrente è la parola “senza”: “Affetti senza ritorni”, “nuvole senza patria”, “anni senza storie”, “giorni senza ore”, “orologi senza lancette”.
Una diffusa tristezza aleggia nei versi.
Anche la poesia, foriera di bellezza, è triste: “eterna è la nostalgia / tormento di artisti e poeti, / all’alba sposati al silenzio: risposte mai arrivate / ad amori impossibili”.
La espressione formale di queste “Poesie randagie” è chiara, sobria ed elegante, e rivela un autore colto, ma alla chiarezza delle parole non corrisponde chiarezza di senso e i versi si susseguono con un cambiamento continuo di soggetti come ad esempio ne “Il poeta dorme ai perché della vita: / la donna che portava i gelsi / parla soltanto alle cicale; / ormai i compleanni non chiamano / entusiasmo di amici”.
L’uomo Calogero Cangelosi, laureato in Lettere Classiche, è particolarmente sensibile ad un aspetto della vita come quello della sofferenza, come sono coloro che scelgono questo indirizzo di studi, pur non mancando di senso di umorismo. Ed egli, nella sua persona, rispecchia queste inclinazioni: sguardo serio e profondo, modo di fare esuberante e non scevro di ironia. Una esistenza la sua dedicata alla famiglia e all’insegnamento.
Però la predilezione per il tema della sofferenza, qui in queste poesie, riesce chiusa e senza sbocco. Senza respiro. Non edificante.
Il dolore, infatti, aspetto insopprimibile della vita, è un tema abbastanza serio e complesso. Ha in sé ovviamente la tristezza, però, scavando nel fondo, ha sempre un suo perché, difficile a scorgersi certamente, e ha anche un fine. E ha in sé anche bellezza. Una bellezza sublime. Qui c’è soltanto il primo passo.

Recensione di Gaetano Zummo

Esaminando attentamente le poesie contenute nella raccolta “LABORATORIO RANDAGIO” di Calogero Cangelosi, si evince chiaramente come nella sua poetica affiori e si manifesti sempre una sorta di desiderio dei miti dell’infanzia, in un volere rifugiarsi nel paesaggio della sua fanciullezza e dell’adolescenza, nella contrapposizione dello squallore di questa attuale società senza ideali e senza valori, associato alla solitudine di chi vive in città, e la pienezza vitale della campagna e della natura, come nei suoi versi: “Ninne nanne e chicchi di grano, dalla terra profumi senza tempo al cuore di chi a stento disegna giochi lontani e ritorni”.
Quello del Cangelosi è, insomma, il tentativo ben riuscito di uscire dalla propria solitudine interiore e di aprire un colloquio con sé nel ritrovamento dei propri miti, dei ricordi mai sopiti, nell’incontro con la memoria e i suoi personaggi. Ed è, in fondo, l’eterna aspirazione della poetica, cosiddetta “decadentistica”, a cogliere la vita nel suo ritmo originale e a trasformare la solitudine ed il peso dell’esistenza in un ritorno dell’anima alla sua condizione di stupore incantato de “l’infanzia tornata”, come scrive lo stesso autore.
Poggioreale, 5 Luglio 2016


Prosegue il laboratorio di poesia randagia con la prima pubblicazione
allegata alla rivista Il Salotto degli Autori, n. 57 dell'Autunno 2016:



Fugge il sorriso

Fugge il sorriso
al sogno di lune incantate
e crea rigagnoli di luce
a cuori senza speranza
ad amori perduti
a sogni senza tegole.

15/07/16
 


Poesie e girasoli

Alla festa del girasole
la speranza danzava sul trapezio
ma il sole che a volte sorride
a volte no...
e scivola la speranza ma ..,,
(incompiuta)
{[(la speranza non deve morire
mai.)]}.
15/07/16..../16/07/16
 



Sole e parole

Un sole senza parole
voleva impadronirsi del mio cuore
ma un vocabolario
lo portò a giocare nel vento.



Il vecchio e la fisarmonica

Il vecchio che portava a
spasso la fisarmonica
è salito sul grattacielo
per vedere il mondo:
suono triste di pianti
che invitano a sfide eterne.
Il vecchio scende le scale
e corre in aperta campagna:
raggio di sole solitario
albero sempreverde:
“...venticello d’estate
aiutami ad amare il
mondo...”
Suono di musiche antiche
allegra fisarmonica
rondini che tessono voli:
sorriso nuovo?

15/07/16


La ragazza che ha venduto il sogno

 La ragazza che ha venduto il
sogno più bello
appoggia la mano al bastone
e non sorride più:
“...sei scesa dalla nave e dalle nuvole
favole antiche di arzille signore
col cappello e pioggia di sorrisi...”
Hai cercato nel vento
perché la fretta
non apre a giorni né a ritardi
i ricordi cancellati.

15/07/16
 


Acqua di pozzo e poesie

...leggere poesie e
bere acqua di pozzo:
note frastornate di parole
in cerca di significati da donare
a chi cade e si alza:
mani amiche e strette di mano
che pulivano il cuore
dei penosi pensieri
senza fiori né canzoni.
Apri il tuo cuore a tutto il mondo:
acqua a chi ha sete
e compagnia alla solitudine:
non alzare la bandiera della resa
alle promesse senza valori:
i colori di un giorno alla vita
companatico alla speranza.

15/07/16


Il sogno, la mosca e la farfalla

Dalla finestra il mare
ha il sapore di chi ritorna al sorriso
perché le chiavi della vita
hanno lavato porte e ruggine:
il sole giocava con i vetri a mezzogiorno
e la mosca danzava stanca e senza fame.
Volevi portare la solitudine alle stelle:
illusione che crea montagne senza sogni.
Vola, leggera poesia,
amica fraterna e fedele,
una farfalla colorata.

15/07/16
 

 


Non hai più gli stessi occhi

Ho camminato le pietre e la speranza
il sorriso del cuore nel giorno di tutti i perdoni
quando il cielo ed il sole aprono porte e finestre
e i ritorni impossibili si colorano arcobaleno.
Seduto su queste rocce
assaporo il calore del mare
mentre nel ricordo vedo poeti
e l’orizzonte di navi
e speranza sempre allegra
sfoglia per me pagine di vita.

15/07/16


Il sole a volte sorride

Hai lasciato la mia mano
per tramonti senza boschi:
oceani di fiori in tempesta
per piangere il tuo orgoglio.
Non hai saputo aspettare
che le lancette degli orologi
puntassero ore e giorni
per gli incontri del perdono:
auguri! Alla tua incoscienza
mondi di bene infinito:
perdersi nei punti esclamativi
é molto riduttivo:
alfabeti e vocabolari per corredo
alla tua solitudine.
 

 

Recensione di Cinzia Romano La Duca

Il Sole nella simbologia universale rappresenta la forza cosmica, l’energia e la potenza. In questa breve ma, intensa silloge, il Poeta randagio sceglie il Sole come protagonista assoluto, osservatore inquieto, umanizzato con un sorriso, quasi a volergli fare compatire (bonariamente) la umana migrazione verso la felicità attraverso la speranza – che non deve morire mai. - È un Sole un po’ invadente in... ”Sole e Parole” – voleva impadronirsi del mio cuore – ma, anche giocherellone – un vocabolario lo portò a giocare nel vento -.
È un Sole giocherellone anche ne “Il Sogno, la Mosca, la Farfalla” dove gioca a mezzogiorno con i vetri quindi nella trasparenza, per farsi notare nella sua piena esplosione di energia, quasi a volere trasmettere benessere e gioia all’umanità. Egli è anche triste e desolato come ne: “Il Vecchio e la Fisarmonica” – raggio di sole solitario –. Ed in ”Poesie e Girasoli”– a volte sorride a volte no –.
Un Sole quindi enigmatico dal quale emerge nettamente la personalità dell’autore che appare lineare, sorridente, ironica e prepotente ma, in realtà, nasconde una personalità sofferta e contraddittoria ed un intimo in cui la relatività degli eventi ha il sopravvento.
Il Sole è il Poeta che si dona senza riserve né aspettative. Un Sole che con la sua forza cerca di comunicare ed accettare questo mondo. La sua umanizzazione è uno stratagemma del Poeta per dare al Sole la possibilità di comunicare con i vocabolari che sprigionano lettere ed alfabeti (non a caso al plurale sotto intendendo l’universalità delle diverse culture) che sono – corredo alla solitudine –. Una solitudine che può essere mitigata solo dalla Poesia.
La possibilità di esprimere le proprie emozioni ci accompagna nella solitudine e nel turbinio dell’esistenza.
Ne: “Il Sogno, la Mosca e la Farfalla” la Poesia infatti, emerge leggera essa è – amica fraterna e fedele –
Ne: “Il Vecchio e la Fisarmonica” l’Autore è autobiografico. Nella realtà non ha mai suonato uno strumento musicale pur desiderandolo. In questi versi egli porta a spasso una fisarmonica facendola suonare da sola. Sale su un grattacielo, simbolo del progresso e dell’affollamento cittadino e dall’alto degli eventi, senza presunzione, osserva, vede e si rattrista.
Spera per un attimo in una minore sofferenza nel percepire il mondo.
Troppo doloroso, sceglie la sua amata campagna, la sua terra, la solitudine e con esse un raggio di sole, anch’esso solitario. Poi, fa un tentativo per reagire a questo malessere chiedendo aiuto al – venticello d’estate – affinché lo aiuti ad – amare il mondo –. E se in: “Fugge il Sorriso” nulla ha scampo ( i cuori, gli amori, i sogni, il sorriso) ne: “Il Vecchio e la Fisarmonica” si respira fiducia nel futuro – Suono di musiche antiche allegra fisarmonica rondini che tessono voli -.
Un nuovo sorriso forse è l’inizio di un auspicato cambiamento verso nuove energie. In: “Acqua di pozzo e Poesie” ogni verso è un invito ad essere migliori. Parla di – mani amiche e strette di mano – di significati da donare – quasi a volere suggerire una riflessione sui valori veri della vita. Ed in: “Non hai più gli stessi occhi” prevale la saggezza sulla ricorrente inquietudine dei ricordi e dei ritorni impossibili che – si colorano di arcobaleno –. Si aprono porte e finestre, entrano energia e poesia ed il Poeta assapora il calore del mare e tranquillizza il suo animo con la speranza.

Recensione di Maria Elena Mignosi Picone

Questo insieme di nove poesie che Calogero Cangelosi ha intitolato “Il sole a volte sorride”, segna rispetto alle precedenti “Dieci stanche poesie”, come una svolta, dall’amarezza alla gioia. Alcune espressioni ne sono la conferma, come ad esempio: “…venticello d’estate / aiutami ad amare il mondo…sorriso nuovo?” oppure altrove: “”Apri il tuo cuore a tutto il mondo: acqua a chi ha sete e compagnia alla solitudine” o ancora: “”… speranza / sempre allegra / sfoglia per me pagine di vita”.
Permane uno stile tutto sui generis, caratterizzato, oltre che da un linguaggio forbito ed elegante, poetico nella sua linearità e chiarezza, anche da un pensiero che facilmente divaga, svolazzando or qua or là, e che in fondo in questo rispecchia la vita nella sua imprevedibilità e nelle sue contraddizioni (“Un sole senza parole / voleva impadronirsi del mio cuore / ma un vocabolario / lo portò a giocare nel vento”); oppure richiama anche l’atmosfera del teatro con gli elementi della sua scena (“…raggio di sole solitario / albero sempreverde / … / Suono di musiche antiche / … rondini che tessono voli”).
Una poesia che riflette appieno la personalità di Calogero Cangelosi che unisce insieme gravità ed esuberanza, profondità e leggiadria.

Recensione di Gaetano Zummo

Nell’ultima raccolta di poesie intitolata: “IL SOLE A VOLTE SORRIDE”, di Calogero Cangelosi, il “poeta randagio”, si evince chiaramente come, nella sua poetica, l’autore accoglie e fa rivivere al lettore i motivi fondamentali del simbolismo e cioè, il senso dell’inconscio e dell’irrazionale.
Il poeta avverte fortissimo il peso dell’umana solitudine e nega non solo la validità, ma anche il conforto di ogni accettato ordine di idee intellettuali o morali.
Non si tratta, nella poetica del Cangelosi, di un canto di dolore per qualche cosa, ma del pascoliano dolore senza perché, diventato pena dell’esistenza stessa; una pena arida perché senza speranza di risoluzione o spiegazione o consolazione, e ciò, per le sorgenti irrazionali donde deriva. Allora, al poeta non resta altro che il dire, il cantare, la forza creativa e la rivelazione della poesia (“amica fraterna e fedele”), come frammento, breve respiro, lampeggiamento di qualcosa che ancora vive nella sua anima, e nega le forme della tradizione come corrispondenti ad una sensibilità a lui affatto estranea. Così, il poeta si libera della sua angoscia esistenziale e la sua anima, ora leggera, vola assieme alla sua compagna e amica di viaggio, la poesia, librandosi in un volo estatico e solenne e volteggiando nell’infinito spazio del suo mondo onirico, come una leggiadra farfalla colorata:
“Volevi portare la solitudine alle stelle:
illusione che crea montagne senza sogni.
Vola, leggera poesia, amica fraterna e fedele, una farfalla colorata”.

Poggioreale di Sicilia, 18 Settembre 2016.

Successo lontano e senza finestre

Il sogno aveva il colore dell'arcobaleno
e le strade in salita
non davano risposte ai miei pensieri.
Dei ritorni impossibili
si parlava nei grandi salotti
dove il poeta sconosciuto entrava
in punta di piedi.
Usciva in silenzio il sole
da piccole fessure
sotto fragili porte.
Usciva il poeta e guardava lontano
perche' la speranza e' l'ultima...


Il pozzo e la palma

Le rondini hanno posato il nido
( pazienza di ricami e disegni)
sul ramo piu' basso.
Un passero raccoglie acqua di pozzo
nell'ultimo secchio.
Solitario ramarro allena i colori
e respira vento leggero
stiracchiando le zampe.
Si posa di ramo in ramo un canto lontano:
solitudine dei campi e tristezze lontane.
Il carrubo regala l'ultima ombra:
un improvviso belato invita a tornare.
(Il libro dei campi da arare, odore di pane e cipolla,
antiche insalate.)
Un sedile di pietra chiama un sonno lontano.


Al balcone

Una donna al balcone
ricama dolori e speranze
vorrebbe sorridere al sole:
(nubi ballerine portano
la palla di luce lontano
ed il sogno svanisce)
ma il sole non ride.
Un uomo porta a passeggio
i suoi pensieri - come farò domani?-
ed un bimbo in mezzo alla strada
tenta soluzioni di vetro
ai suoi carretti di legno.

(Al sogno bambino
astronavi e portaerei lontani).

La fame bussa alla porta
e la donna apre:
il silenzio ha rubato la speranza,
ha stampato alle pareti
un sorriso spento.


Poesia

Ha il tuo volto
la mia gioventù che ritorna
spensierato sorriso
incosciente dolcezza
che profuma colori e fiori.
Mi prende per mano
attraverso i giorni delle cicale
o le corse per i campi di grano:
margherite ridono
al soffio del vento.
Ora guardi i miei capelli bianchi:
al sole affido ancora
sogni e ricordi.


Il sole

Ancora riposa la notte
ma il sonno di chi lavora
ha orologi che gridano fame
e veglie diverse.
Stelle svogliate passeggiano il cielo
e aprono ai colori del giorno.
Ombre muovono zappe
poi svaniscono
ai raggi improvvisi
di un sole mattutino.


Poesie appese ai chiodi del muro

Non ci sono poesie
da appendere ai chiodi dei muri
se le allodole non cantano piu'
ed il cuore del poeta e' stanco.
Finestre senza cigolio
rischiano il senso del vuoto
e del silenzio delle acque:
barche senza remi e ritorni lontani.
Un bambino fischietta motivi nuovi
in mezzo alla strada
ed il futuro accelera il ricambio.
Fermarsi e' forse il segreto
ed aspettare, gli occhi fissi al sole che tramonta.
Una rondine amica vola vicino ed apre al sorriso.


Il ragno

Il ragno volava leggero
e posava fili bianchi ad angolo
dove il camino anneriva le pareti:
a lume di candela muoveva passi indecisi
l'uomo del casolare: un cane cercava stracci asciutti
accennando lenti guaiti.
Sul tetto del muro muoveva incerti passi
una lucertola variopinta.
Ad angolo di parete muore la candela
l'uomo già russa, il ragno si appende all'ultimo filo,
dorme anche il cane.
Il silenzio invade le fessure di un freddo inverno:
un'aria leggera accarezza volti stanchi e soli.


Albero ascolta...

Il silenzio del mondo
rompe i cristalli nello stagno
e rane stanche e sempre verdi
intonano canti alla noia.
Un gelso robusto
rifugio a nidi di passeri
e riposo per colombi e cicale
ascolta note confuse
con parole che sanno di fatica-secoli
e di figli lontani senza ritorno.
...E parla l'uomo
al vento ed alla luce
(le mani verdi di noci sbucciate).
Poi si guarda intorno:
solo le pietre ascoltano:
il deserto della solitudine
ricama confini
senza speranza.


La speranza è l'albero

Un uomo taglia,
un bambino guarda,
un albero piange.
...Pugnalate al cuore i ricordi:
la festa degli alberi
i nidi di passeri sempre più rari
ed il vento...
... E tiene la terra e sorride al sole
riparo d'estate e compagnia
agli uomini soli,
albero.

Un uomo piange
un bambino sorride
l'albero respira speranza:
la vita continua.


In viaggio

"Prego, s'accomodi!"
Giovane sorriso
verso i miei capelli bianchi.
"Grazie, stia comoda!"
Stupido orgoglio ricorda
le corse: una fermata, due fermate,
e salire al volo contenti.
Ma
il tempo non torna indietro
mai.


Uomo-albero

Al sole racconta
di antichi sorrisi
e di balli: allegrie,
vissute senza rimpianti.
Sdraiato per terra
il vento confonde
rami d'eucaliptus
e bianchi capelli
Ritornano nel salto dei grilli
giochi bambini e corse ( senza limiti).
Il vecchio ora dorme:
ninne- nanne cicale
accompagnano i suoi sogni.


Sorriso al tramonto

Sorride una stella al tramonto.
È sera: la vita comincia in silenzio.
Sorride una donna al balcone:
parte il figlio per terre lontane:
un lavoro, (sogni come comete).
(Chiude le serrande la donna,
asciuga lacrime veloci
che il silenzio
porta via senza un saluto.)
Ma verranno i ritorni:
la stella illumina il cuore,
il figlio e la nuova famiglia
racconti di fatica e sudore:
si sorride al destino.
[Alla porta bussa una donna
più stanca di fatica che di anni:
chiede compagnia:
la sua casa è senza ritorni.]


La solitudine ( vista da Antonina La Menza) nelle poesie:
'Nel vecchio solaio' e 'Ciao' di Calogero Cangelosi

LA SOLITUDINE

La solitudine è stata, fin da sempre, per i poeti una grande compagna di viaggio nel bene o nel male e l'uomo è stato l'habitat ideale di questa, lasciandosi covare nel corpo e nell'anima. Nelle due liriche del poeta randagio Calogero Cangelosi , “Nel vecchio solaio” e “Ciao (storie di un vecchio che passeggiava solo nel parco e parlava ad alta voce)”, la ritroviamo come tema protagonista. Nella prima in contrapposizione al “Passero solitario” del Leopardi, ritroviamo sì il volatile, ma egli non si ritrova ad osservare la primavera né ad ammirare l'allegria di tutto ciò che lo circonda, ma sia l'ambiente che egli stesso, ed è molto triste e desolante e infatti cinguetta evocando ricordi che distruggono il presente e solo nei sogni può vivere una primavera “e lasci ai sogni il progetto di spazi infiniti:.. fiori dai mille colori..”. Il passero qui non vola ma ciò che è volata è la vita” per i capelli bianchi“. Il Poeta non vola, si aliena dal reale non per volare, spaziare, librarsi, gioire, ma per rimanere immobile nella solitudine dei ricordi e dunque nella sofferenza, o ancora per sognare nella solitudine come in “Ciao”.
Nella lirica “ Nel Vecchio solaio “ già il titolo stimola di per sé amarezza e nell'altra ”Ciao”, sembra un saluto confidenziale rivolto alla solitudine, piuttosto che tra il vecchietto e la donna immaginaria. Nei due carmi ritroviamo due figure femminili: Concetta viva e sensibile che nel solaio riscopre le sue vecchie bambole, la sua giovinezza dunque e piange mentre l'altra donna in “Ciao” è fredda e silenziosa “non parli, la tua fredda mano...” e il vecchietto la ritrova “come per incanto”, dunque come se fosse una folgorazione, un sogno. Proprio l'isolamento dei tempi di oggi, la freddura dei sentimenti, congela tutto e non dà neanche spazio alla creatività, “ai suoi figli i robot non bastavano mai”, evidenziando come il tempo e i giochi cambino con gli anni e via via l'uomo non cerca più il suo simile né si ritrova nella vita quotidiana perché ha bisogno di rinvenire nei ricordi, nelle fotografie che “fermano il tempo”,... e gli anni apparentemente belli e ricchi di innovazione “riporteranno la fantasia e la miseria”.

Nella solitudine il tempo sfugge “Nicola non scrive più..non ha tempo” in contrapposizione al vecchietto della poesia “Ciao”,nella quale egli si emoziona, si rallegra per una stretta di mano e ancora si rifugia nella poesia..” io ormai scrivo poesie e poi le leggo”, dunque questi due personaggi sono prototipi di generazioni così tanto differenti, per abitudini e voglia. Inoltre mentre il vecchietto porta con sé gli antichi valori e i sorrisi come se fossero la sua fortuna, nella lirica “Nel vecchio solaio”, si sottolinea la materialità e l'asprezza dei valori “ci vedremo un giorno per soldi raccolti o per fortuna improvvisa”. Il nostro vecchietto non attende la luce come nella prima lirica in cui “l'acqua aspetta momenti di cataratte aperte” ma egli dice “io non sono cambiato..gli anni i dispiaceri ma la gioia di vivere c'è” e così non si lascia imbruttire dall'inquietudine della condizione umana sola, triste e caduca né si lascia impressionare dai capelli bianchi. Questa angosciante solitudine si maschera laddove sembra ci sia il tutto, lì dove sembra che non si è soli, e invece non c'è un individuo distinto e distinguibile, ma “la folla indifferente corre sempre “o ancora “ti vorresti bussare alla porta per dirti: chi è ?”, dunque si rischia anche l'estraneità da noi stessi.
Il poeta randagio però cerca di dare una speranza nell'immagine: “Un albero sfonda le nubi“ ed è come se cercasse di aggrapparsi a delle certezze nella figura di quest'albero piantato che con i rami travalica i dubbi, le paure perché i suoi pensieri procedono tra “Viottoli stretti e sterpaglie”. Nella solitudine tutto è rovesciato, assurdo, “Il cane scodinzola al gatto”, tutto è preso dalla noia, non c'è più voglia né un sorriso, le giornate si logorano, piene di domande senza voce di risposta, ciò mi induce al raffronto con l'estraneità, l'indifferenza e la svogliatezza della vita di Mersault, in” L'étranger” di Camus. Nel componimento del poeta si asserisce che verrebbe la voglia di isolarsi nella solitudine, come se già non lo fosse, come se fosse l'unica soluzione per accettarsi e per accettare il fatto che i ricordi devono fare il salto di staffetta, invece nella poesia “Ciao“ è definita “brutta malattia”, dunque una tremenda condanna, della quale prima o poi tutti comunque potrebbero essere colpiti. In conclusione, i nostri personaggi sono malati di solitudine, ma nel frattempo non trovano né il tempo né lo spazio per restare soli. Antonina La Menza (poetessa-critico)


Nel vecchio solaio
(poesia edita)


Mi hanno detto che non ha
il sorriso di una volta
piange al primo soffio del vento
e ricorda il fiume in tempesta.
Un albero sfonda le nubi
cibandosi di pietre e sole
quando l'acqua aspetta momenti
di cateratte aperte.
Viottoli stretti e sterpaglie
nel cammino dei suoi pensieri:
andava a scegliere l'uva
quando l'uva era nera.
Un passero cinguetta
canzoni che ritornano
e feriscono il presente creando
immagini di memoria: a scuola
non piangeva mai perché i compiti
erano sempre corretti.
È volata la vita sul ramo
del pino più alto, vicoli sparsi,
per i capelli bianchi.
Si racconta che ancora
alle fontane si radunano donne
di una certa età. Il tuppo
in testa per le quartare. Sorridono:
l'acqua buona della terra e delle
pietre. Nicola non scrive più
ora è sposato, ed ha figli
e non ha tempo.
Ci vedremo un giorno per soldi
raccolti o per fortune improvvise.
Sfogliare fotografie serve soltanto
a fermare il tempo e vivere.
Comincia a battere sulle tegole
una strana pioggia improvvisa,
finirà presto, non è stagione.
Qualcuno passa gridando regali
al cuore di chi ha memoria.
Bussano alla porta con un paniere
di fichi neri e bianchi. I gelsi poi,
domani, forse. Se c'è tempo.
Nel solaio Concetta ha trovato le sue
bambole: lacrime improvvise per lei.
Ai suoi figli i robot non
bastavano mai. Ritorneranno
gli anni della fantasia o della
miseria: il pane duro lo vivi
in tutti i telegiornali.
Eppure verrebbe la voglia di fare
gli eremiti in cima a montagne
inaccessibili, tanto si è
sempre soli
con la tavola imbandita
ad aspettare: ospiti inattesi
non bussano più. Il cane
scodinzola al gatto e ordinati
senza rompere nemmeno una
ciotola, noia?, si siedono e
ti manca la voglia di sorridere
a qualcuno. Ti vorresti bussare
alla porta per dirti : " chi è?",
ma il gioco non regge. Ed allora
ti siedi e lasci ai sogni
il progetto di spazi infiniti: laghetti
e fiumi in aperta campagna,
fiori dai mille colori e le
fontane: un giorno solo ti basta
per trovare nel sogno la vita.
"Cosa darei per un sorriso!"
Gratis, non si fa più niente
sussurra una mosca e tu
allora...cosa hai fatto della
tua vita per tutti? E senza chiedere mai?
Ricordi...sbiaditi che scavano ancora
montagne d'amore...


Ciao (poesia inedita)
(storia di un vecchio che passeggiava solo nel parco e parlava ad alta voce)

Ciao, 
è bello incontrarsi
in questa strada:
la folla indifferente
corre sempre,
e.. come per incanto tu,
come allora il tuo sorriso, 
 ed io ti rivedo, sei uguale,
cinquant'anni sono forse passati 
solo sui miei pensieri...
e stringerti la mano,
mi rallegra e rende felice.
Che fai?  Come vivi? Sei sola?
Sai, io ormai scrivo poesie
 e poi le leggo,
dove capita, 
quando capita...
sono invecchiato,
d'aspetto, 
ma di dentro mi commuovo ancora
come ai nostri incontri...
non parli e la tua fredda mano
mi dice che forse sei sola...
mi hai cercato...
chissà,
ora vado,...
Perché non parli?
Sorridi?
Ti fa piacere avermi incontrato
sai io non sono cambiato
e poi tanto gli anni i dispiaceri
ma la gioia di vivere c'è sempre
ciao...
mi ha fatto piacere vederti...
porto sempre con me il tuo sorriso...
.....e lei improvvisa parlando:
ho tre figli e tanti nipoti e vivo sola...
mi ha fatto piacere 
tutto quello che mi hai detto
mi ha fatto, viaggiare lontano.
(...brutta malattia la solitudine
ti fa sognare anche 
con persone che non conosci...)





In copertina:
Rosalba Urru,
Il silenzio e la farfalla

Il silenzio e la farfalla di Calogero Cangelosi (Il Convivio 2013)
Recensione di Clotilde Cardella

La lettura della silloge di Calogero Cangelosi "Il silenzio e la farfalla" si traduce in una dolcissima esortazione al cuore dell'uomo a recuperare il naturale legame con la terra.
Non è solo il nostalgico ricordo dell'età contadina a guidare il poeta, ma è anche l'uomo di cultura, l'uomo divenuto cittadino ad invitare con la forza delle parole al risveglio dell'uomo.
La natura non ammette tradimenti, la terra genera sentimenti autentici e forze inaspettate, per questo, nella poesia di Cangelosi, i ricordi fluiscono limpidi come acqua che scorre (aspettando l'acqua limpida che corre ed abbevera il mondo).
Il ciclope ha lasciato il posto al giovane speranzoso che, pur lasciando la sua terra, non avrà però perduto il suo coraggio di uomo (ora il ragazzo corre, fiori in mano, e cerca soluzioni al suo avvenire).
Questa è forse la paura di Calogero Cangelosi, che uomini pavidi possano prendere il sopravvento su uomini che hanno invece una marcia in più, ma che, tradendo le loro origini, si assoggettano ad una realtà virtuale (il vento del benessere regala illusioni e non prepara futuri accessibili). L'uomo rimane solo e la solitudine devasta la coscienza, questo è il pericolo della nostra epoca, ma Cangelosi ha l'antidoto (aria di campagna e profumo di terra al sole non conoscono solitudine), quel ritorno amoroso alla vita condivisa, al quotidiano dove anche in assenza di benessere c'è il vero pane della vita: l'amore (è ora che i cordoni si sentano fratelli e salvino il mondo). Per questo il poeta scrive di sé e dei suoi ricordi, per condividere il dono da lui posseduto e, in atto di estrema generosità, ci regala la sua poesia. Scrivere è sempre atto di fiducia negli uomini, perché comprenderne il sentimento ci aiuta ad essere persone migliori e Cangelosi con le sue riflessioni ci aiuta a farlo (cerca le viti giuste, non stancarti mai).
La capacità di ritrovare l'anima del bambino, che vive in ciascuno di noi, rappresenta la chiave di volta della poetica del Nostro, perché sa offrire speranza a soluzioni impossibili in una società il cui "sistema non funziona più". Vivere altrove (tra fili di agrodolce e capelli di eucaliptus), concede riposo agli uomini (nel sorriso dell'ultimo giorno). Quando l'alfa e l'omega coincidono (quando gli opposti si toccano), quando il tutto e il niente si fondono, allora "frequenze parallele incontrano la nostra sensibilità" e, anche partire per non più tornare, avrà avuto un senso (il ritorno, domani o mai).

 

La dialettica dell'uomo ne Il silenzio e la farfalla (Ed. Il Convivio,2013)

di Antonina La Menza

Il libro “Il silenzio e la farfalla” di Calogero Cangelosi gorgheggia versi di poesia aulica, tutt'altro che silenziosi.
La mente del lettore fantastica immagini di vita sfavillanti, altalenanti tra passato e futuro, realtà e sogno, speranza e chimera. 'Il poeta randagio' è capace di fare intravedere, al di là del percepibile con i sensi, il vero volto delle cose, come in filigrana: un significato che di solito sfugge all'occhio umano, ma mai all'occhio attento del poeta vate.
La natura è una nota costante nel pentagramma di queste meravigliose poesie, contrapponendosi e proponendosi come alternativa alla città. Si tratta di una natura che, nel contempo, dovrebbe accogliere senza discriminazioni i più deboli e gli indifesi: una vecchietta, un bambino ecc.
Questi ed altri personaggi dei versi sono emblemi di profonde riflessioni e temi mai scontati. Il ritmo della natura riempie i silenzi dell'uomo e lo consola dagli interrogativi senza risposte. Anche l'acqua, elemento primordiale e fonte di vita, trova ampio spazio nell'elaborazione letteraria come proiezione di pulsioni inconsce (acqua=vita), come emblema significativo del rapporto uomo-natura: “Una nuvola bianca /../ canta motivi antichi” (Iter, storia di un viaggio senza ritorno), ”E lo spruzzar d'acqua e di pietre ricrea suoni arcobaleno” (Il silenzio degli alberi).
Il nostro vate 'immaginifico', ossia creatore di immagini suggestive e di atmosfere incantatrici, è capace di coinvolgere il lettore in un mondo di sensazioni irripetibili, facendogli 'sentire' la magia della natura e suggestionandolo nella musicalità dei versi: “Dolci tintinnare di zappe / Concerto alla vita dei grandi perché” (La corsa). Poi, all'improvviso, la musicalità si interrompe e, come quando le corde di un violino stridono, il lettore è catapultato in un mondo senza sogni, di passeggiate senza ritorno, in cui il rumore dei camion spezza la naturalezza riportandolo alla realtà. Se prima c'era un mondo di ricordi fatto di fiabe e di favole che regalavano sogni e speranze a bambini e uomini, svelando un mondo più buono, oggi le “farfalle svolazzano sibilando: un giorno finirà” (Angolature).
Gli uomini non riescono a trovare nella fatica lo spirito della soddisfazione: un tempo si lavorava in campagna, si faticava e il sudore abbelliva le fronti dei contadini che cantavano per alleviare la stanchezza. Molte liriche sembrano rappresentazioni pittoriche dell'artista Millet, pensiamo alle ”Spigolatrici”, così in Cangelosi ritroviamo: “la zappa apriva la terra ed invitava a nuovi frutti” (L'amaca e il cardellino), “..dove passeri cercano gli ultimi chicchi di grano / da spighe sfuggite alla falce” (Pianta sulla pianta). La sera si imbandiva la cena d'amore perché bastavano i sorrisi, i sogni. Invece oggi si è stanchi anche di chiedere aiuto e ci si ritrova soli, ma sorridere soli fa male, così mentre una vecchia canta, una giovane dorme: “è un mondo dei sospesi, delle incertezze, senza avvenire” (Acqua).
A tutto questo sfugge la natura che prima era protagonista e adesso fa da sfondo, senza mai uscire di scena, come un cielo che è la culla delle stelle. Cangelosi mostra la precarietà dell'estrema condizione dell'uomo al giorno d'oggi. Mentre un tempo c'era appetito di vivere, oggi ci sono pance piene, ma tutto il resto è vuoto, cosicché l'uomo vive in un mondo lacunoso.
In questo libro ritorna la consonante sempre alla ricerca di vocali, non più zoppa (come nella precedente raccolta del Poeta) ma sola, non ha più voce, non si hanno più storie da raccontare, adesso c'è il silenzio che pervade l'ego dell'uomo. Il rischio è il ripetersi del male e della miseria. Sfogliando tra le pagine del libro, la poesia Il sorriso del nespolo riporta un accostamento al romanzo I Malavoglia, in cui Verga vede la società come una sorta di giungla intricata in cui gli uomini succubi della sopraffazione sono costretti alla sopravvivenza. Anche in Cangelosi è presente il perdurare delle burocrazie nocive nel mondo. Gli esìli allontano gli uomini dal vivere bene, dal vivere verde, e così come la famiglia del romanzo di Verga sognava di acquistare la casa del nespolo, nelle poesie del nostro poeta randagio “il sogno cammina sui rami del nespolo”.
Dunque, bisogna estraniarsi dalla mischia e ritornare all'essenza della vita, la quale si ritrova nelle cose più semplici, negli affetti più cari: nella famiglia. L'ultima parte del libro racconta di guerre, pianti e dolori, speranze affacciate al mare. Nel carme Donna madre si presenta “..un ritorno aspettato da sempre.. / i figli dispersi ora sorridono al vento” e si sottolinea la duplicità della donna, che deve attendere due volte, la prima come madre che durante la gravidanza per nove mesi protegge il figlio nel proprio grembo e la seconda come donna in attesa del figlio dalla guerra, (forse) inutilmente. Il poeta si pone interrogativi attuali e mostra una realtà che bussa sempre ai nostri cuori come in La guerra perché? in cui “..una lettera cade per terra /../ (il figlio) non tornerà più.” In questi versi c'è l'irruzione di un mondo brutale, che spezza cuori e speranze di un mondo agreste genuino e buono. Inoltre, attraverso la metafora del viaggio, si rappresenta la complessità di trasformazioni della vita umana, intrinsecamente legate all'esperienza, che proiettano l'uomo in una nuova realtà da esplorare. L'uomo si spinge in un universo oscuro, in una dimensione a lui estranea e, attraverso l'esperienza autentica e diretta, plasma e modifica la sua psiche e la sua identità. Alla base di ogni viaggio c'è sempre un'ardente necessità di cambiamento e poi, al contrario, di ritorno alla condizione d'essere precedente, volontà di rottura e desiderio di riconferma di un certo ordine, bisogno di fuga e necessità del ritorno. Si tratta di un nostos, ovvero di un viaggio che si compie su una linea circolare dove il punto di partenza coincide con quello di arrivo: ”riaffiora un antico motivo.. / Ritornano gli odori ed i sapori.. / la realtà cancella il ricordo”. Cangelosi, uomo di fede e di mille speranze, incoraggia gli uomini ad ascoltare i sibili della propria anima, perché l'uomo ha molto da ascoltare. Lascio a voi la buona lettura in questa navicella spaziale, concludendo con una frase di Sant'Agostino: “Il mondo è un libro e quelli che non viaggiano ne leggono solo una pagina”.




Recensione di Francesca Luzzio

Il titolo della silloge di Calogero Cangelosi IL SILENZIO E LA FARFALLA è anche quello del disegno di Rosalba Urru, presente in copertina. Entrambi esprimono appieno la simbiosi metaforica tra la parola poetica che silente come il volo di una farfalla si muove nei meandri della coscienza del lettore-destinatario e il volo dell'ispirazione del poeta-emittente, che bifronte guarda ora avanti ora indietro e con un continuo andirivieni ci immerge nel passato o ci proietta nel futuro, ma spesso si ferma come il policromo insetto su variopinti fiori, nella poliedrica realtà presente. Di conseguenza, ora la farfalla assume l'aspetto mitico di Mnemosine e partorisce poesia che, stende le ali e vola nella memoria del passato tra prati assolati e cieli trapunti di stelle,tra giuochi ingenui di bambini e duri lavori nei campi,tra malinconiche partenze e addii, ora diventa Ananke che, preso il sopravvento,fa nascere nel poeta il bisogno di considerare il presente del mondo e dell'io, che, nella consapevolezza della difficoltà di programmare il futuro, di fronte a un destino che spesso non possiamo mutare, si pone in una posizione di attesa che, pur non scevra di fatalismo, non cessa di sperare; in tali momenti il poeta si sente come una “lucertola di settant'anni \ attaccata alla vita” che” aspettava che il mondo \ si aprisse al sorriso”.( in ...Di solitudine si vive...Al sonno e alla vita, pag. 66).
Quando è Mnemosine a volare alto e lontano, la parola del poeta si veste spesso di malinconia nella consapevolezza che il passato, come un sogno che svanisce al risveglio, non sarà mai più. Ciò fa sì che la natura condivida il sentire del poeta e diventi stato d'animo,espressione del suo sentire e l'osmosi è così integrale da indurre spesso gli elementi naturali ad animarsi, antropomorfizzarsi, così si leggono versi speciali come i seguenti: ” e nuvole bianche sorridono \.......\ un vento leggero accarezza la vita” (Ora il vento, pag 8), “Sole...\ ...\ tramonta,starnuta” (Tramontolontano da casa, pag. 65),”incerto come il triangolo di stelle che stasera sorride” (Partire,pag.68),in cui le cose dell'universo vivono e comunicano sentimenti ed emozioni umane. Insomma Leopardi e soprattutto Pascoli si pongono come modelli al poeta CANGELOSI, nel cantare una natura complice ed espressione del suo personale sentire e delle sue personali esperienze. Il dolce amaro del passato si alterna nella silloge con la trasfigurazione poetica del presente e la necessità di affrontarlo nasce dalla problematicità che lo caratterizza.
Così il poeta diventa impegnato,come si era soliti dire in epoca neorealista ed affronta con pregnanza di linguaggio e concisione di stile, temi come la guerra: “una lettera cade per terra \ un solo rigo sotto i raggi del sole:\...non tornerà più”. La guerra, perché? è il titolo della poesia da dove sono tratti i versi citati ed esso basta ad evidenziare la carica emotiva che vive il nostro poeta nel denunziare l'insensatezza dei conflitti. Né la sua denunzia perde carica quando indignato affronta il tema dell'inquinamento: “e l'acqua sempre più sporca \ lava le mani \ e si ferma \ in pozzanghere nere \...” (Se l'acqua che limpida corre, pag.12), o quello dell'incomunicabilità, della solitudine, tipica dell'uomo contemporaneo per cui può succedere che in”giornate di folla che a stento riesci a \ trovare un cammino ritmato \ in un mattino....\ non ho trovato una stretta di mano”(Angolature, pag.26).
Un altro tema che Ananke impone di trattare alla morale e all'etica del poeta è quello dell'emigrazione, retaggio memoriale dei nostri padri e drammatica realtà dei nostri giorni che continuano a vedere ”volti di persone tristi \ anime in pena e pianto” (Io vivo altrove,pag.55). Una raccolta poetica dunque che nel suo insieme svela l'anima del poeta, quale essa è nei suoi ricordi legati al quotidiano infantile e nel suo impegno etico e socio-morale che lo lega all'oggi, in un andirivieni espositivo che sembra seguire un flusso di coscienza che ora s'immerge nel passato,ora nell'oggi, oppure tende a porsi in una condizione di attesa serena per ciò che sarà. Infatti è tardi ormai, il tempo ha leso le energie e all'indignazione e alla denuncia verbale non può più seguire l'azione, né è possibile ottenere rimedi disinteressati: al poeta non resta che attendere e, aspettando che il mondo cambi e la società riprenda ad effettuare l'ermeneusi della vita, continuare spontaneamente ad amare gli altri poiché “ camminare insieme apre l'ultima speranza” (Saltare il fosso o coprirlo? pag.44) e in particolare la moglie Marisa, acqua lustrale che purifica e dà forza di continuare e sa anche” sorridere quando l'assurdo incontra la realtà. (Dammi la mano al sorger del sole...,pag.60)


Il libro Consonante zoppa (“Il Bandolo” Palermo 2012)
“interpretato” dalla giovane poetessa Antonina La Menza

L'immagine di copertina del libro “Consonante zoppa” di Robba Maria Luisa, nonché gli altri disegni ben appropriati, palesemente rappresentano, con i loro elementi chiave ciò che queste preziose pagine partoriranno, un fotogramma di vecchi ricordi, che riportano alla famiglia, un mondo con i confini delineati, ma ricco di forti legami e memorie, queste voluttuose sono accarezzate con indugi languidi, quando un pretesto apparentemente irrilevante o banale, come l'attesa di un fiore dalla terra, sprigiona emozioni di forte moralità, serbate dal cuore e dai sensi.
Ma l'imponente finestra, incoraggia verso nuovi orizzonti, per spezzare la monotonia dei nostri gesti, che può cristallizzare la nostra immaginazione e proprio ciò suggerisce un paragone con “L'infinito” di Leopardi, basterebbe che ogni uomo aprisse la finestra della propria anima al mondo per soddisfare la sete d'infinito, e come in Leopardi scatta il meccanismo immaginativo, anche in Calogero Cangelosi (il poeta randagio), una volta scostata la tendina, perché altrimenti questo mondo sarà sempre opaco,” in cui schiere di pescecani/s'arrampicano nel mio cervello/ per rubarmi la gioia di vivere” pag 61.
Cangelosi è capace di captare i colori della natura, di suggestionarci con i suoi versi colorati e caldi, capace di mostrare anche la piattezza di un mondo assorbito dalla superficialità e dalla “distrattezza”. Leggo nei versi del poeta un augurio a lasciarci stupire dalla meravigliosa natura, tema molto presente, punto di riferimento della sua vita, paragonabile all'Arcadia di Virgilio: un paesaggio fittizio che molto spesso consola il poeta dal dolore. L'immagine di un locus amoenus, in cui donne e vecchiette cantano le loro pene e abbandoni, recuperando il codice bucolico di Virgilio.
La natura narra il tempo passato “pietre scavate nel tempo/ raccontano storie/ antiche”pag7, “i fiumi.. regalano al cuore di chi sogna,/ poesie inattese “pag 15.
La sola natura forse può essere la nostra via d'uscita da questo mondo in cui” un uomo/ in città senza nome/ stanco di niente e di tutto … sa di non essere/un uomo” pag 21, l'uomo in città sembra essere assuefatto, la vita corre e scorre proprio come il fiume e la corrente fa scivolare tutti i nostri riflessi che avevamo sognato contemplando la natura”sempre le stesse cose./
La vita si veste uguale … convinti che il cuore/ va riempito ogni giorno/ di nuove emozioni.. età dei giorni da inventare“ pag 60, generazione apatica, il cuore svuotato, noi soli a volte seduti al tavolo, rovinati dalla frenesia delle lancette, si vive al minuto e senza perché, la poesia di Cangelosi caldeggia la ricerca del bello, del nuovo, sperare senza mai mettersi in stand by, credere che ci sia un mondo più buono in cui “i sorrisi di pietra..” si sciolgono in sorrisi sinceri e ci riempiono di stupore, perché così come può farlo la natura anche gli uomini possono stupirsi di loro stessi.
Percepisco in questo carme una voglia di avvicinarsi sempre più all'essere natura, prendere il buono che c'è in questa, un invito ad essere più altruisti quando si legge ” ho ricevuto strette di mani..: alcune sincere “pag 68.
Non possiamo permettere che la nostra sia un'esistenza desolata, ma così come il fiore ha una propria identità ed è capace di sorridere, anche noi dobbiamo elargire sorrisi, appare chiaro il rischio in cui si rincorre: essere turisti distratti di un mondo insignificante“ mezze luci/illuminano/ solo vite a metà “ pag 73. Se solo ritrovassimo in noi quel fanciullino soffocato dall'impazienza di crescere velocemente, insomma avere tutti un po' l'innocenza dei bambini, emozionarsi ed emozionare per le piccole cose, dunque la sobrietà di un saluto, un fiore curato, ma ciò che appare è una bellezza ormai sfigurata dalla stanchezza, zoppa, in cui anche i sentimenti sono volubili il cuore paragonato ad “un motore spento da anni “ pag 57.
Noi fragili, dobbiamo imparare a vincere le lotte quotidiane e restare secolari come quegli alberi sopravvissuti alle guerre che hanno nutrito le terre assetate di tutto. In questi versi viene mostrata l'altra faccia della medaglia, una natura che può anche essere cattiva con noi “tra risa che il vento/ confonde/ con rumore di cascate” pag 19, “il cielo .. si veste di nubi” pag 33, “il vento furioso/ porta via ogni cosa” pag 31, ”La pioggia… fa quasi paura” pag 38. Questo eco costante nei versi del poeta alla natura, mi porta ad accostarli alla poesia “Correspondances” di Baudelaire, in cui nella prima strofa “La Nature est un temple où de vivants piliers Laissent parfois sortir de confuses paroles”, i pilastri che diventano viventi, emanano parole confuse, sono protesi in un continuo suggerimento di misteriosi messaggi che l'uomo comune non riesce a comprendere.
Così il poeta cerca di farsi interprete, la natura così come nella poesia francese anche in Cangelosi si carica di molti elementi, ritroviamo un forte dualismo le spighe, le rose, i fiumi, i tulipani, il vento, la neve e il sole, “una gallina svolazza terra ed erba” pag 44, ma a queste immagini che profumano di fresie, ci sono anche altre forme contorte, dal silenzio di una pineta, si passa ad “un sonatore di tromba” o al “portone che ruggisce”, “il rumore lontano d'un aereo”, insomma un'altra realtà parallela che conduce l'anima a forti stati di sospensione, “nel vuoto del cuore”. Proprio l' autore che ha vissuto in campagna “ora chiede alla / vita-città/scintille”pag 46.
Amante della vita il poeta, scrive due lettere allo stesso amico, un inno alla vita, al non arrendersi mai, al non voltarsi mai indietro perché è un giorno la vita, “Un giorno per sconfiggere il tempo”. Il poeta consapevole che le favole non esistono più, cerca di credere ancora in un mondo più buono, anche se lui, forse non sa se canterà più per gli altri, ma conoscendolo pensiamo di sì e al contrario di ciò che scriveva Baudelaire nella sua opera “l'Albatros”, “ses ailes de géant l'empechent de marcher”, egli è sicuro che le sue ali non strisceranno mai, perché non le abbandona “comme des avirons”, lui sì che è Le Roi de l'Azur ! E anche se nessuno più ascolta la voce dei poeti “et s'en va, chanter inutile,/ Par la porte de la cité!” (Hugo), nella preghiera a Maria dice : madre/di una sola/scintilla /bisogna/ l'anima mia” pag 75.
Cangelosi ha trovato con la poesia il modo per ridare dolcezza e musicalità alla durezza del cuore degli uomini, i suoi versi sono semi piantati in un mondo gravato ma che germogliano auguri di un mondo genuino, baluardo contro il pericolo dei costumi smodati! Alienandosi in viaggio perenne tra il passato, il presente e l'immagine del futuro, in questa dimensione, capace di portarsi con sé, i legami più forti, i sentimenti più veri, la semplicità di un mondo rurale.
Vi lascio alla lettura di questo piccolo grande messaggio concludendo con una frase di Flaubert “Non leggete, come fanno i bambini, per divertirvi, o, come gli ambiziosi, per istruirvi. No, leggete per vivere.”


Il cantico "naturale" dell'amore e della donna in Cangelosi Calogero
Nota critica di Antonina La Menza

Questa trilogia di poesie (edite negli anni '90) i cui titoli sono "Ed il saggio racconta", "Il saggio ricorda la sua amata", "La donna diceva al saggio", è un tripudio della donna e dell'amore dolce e sensibile. La donna adesso comincia a muoversi intorno alla natura, non c'è artificiosità nei versi ma un ritorno ai classici e in particolar modo al filone bucolico che dà la possibilità di rappresentare l'innocenza, la semplicità, la grazia e la castità come mezzo di rigenerazione spirituale e intellettuale.
Infatti nelle poesie del poeta randagio Cangelosi Calogero, l'ambiente che corona questo amore è un locus amoenus liricizzato ed è qui che i sentimenti del poeta si confortano.. "dolce luna", le spighe ondeggiano al sole", paesaggi primitivi, "spine e rovi" ,"alloro profumo di marzo" fieno, paglia, frumento e formiche, aspetti dolci come albe e tramonti rappresentano la felicità, predominano i notturni, i chiari di luna. In questo contesto lontano dal mondo borghese e "civilizzato", si rima con espressione poetico-contadina, un amore profondo e sembra opportuno citare un verso di Virgilio "Non omnes arbusta iuvant humilesque Myricae», cioè "Non a tutti piacciono gli arbusti e le umili tamerici", perché qui Cangelosi Calogero, nell'accezione di Pascoli, si propone di conservare un tono basso come gli arbusti e le tamerici, per arrivare dritto all'essenza. L'amore tanto decantato in questi idilli, sfugge alla ragione e lo si ritrova nei sogni … "Ti vorrei nel sogno", dunque in contrapposizione all'amore romantico che fonda anima e corpo, qui ritroviamo, in un luogo puro e vergine, un accostamento all'amore stilnovista che è spirituale, nobile, riscopriamo l'amore platonico tra il saggio e la donna.
La donna del poeta randagio, angelicata, è oggetto di un amore tutto platonico, non ci sono veri atti di conquista, parlare di lei è pura ascesa e nobilitazione dello spirito, puro elogio e contemplazione che consente al saggio probabilmente ormai, "vecchio abete al tramonto", di mantenere sempre intaccata e puramente potente la propria immagine. Mancano riferimenti fisici tra l'uomo e la donna, manca l'agitazione o il travaglio nervoso che si manifesta quando c'è un desiderio amoroso, ma il tutto è molto etereo, quasi freddo, cristallino quando dice "tra i ghiacci .." Nella poesia italiana la figura femminile è stata variamente apprezzata dai diversi poeti, che ne hanno fatto perlopiù il simbolo per presentare una particolare visione della vita e della propria poetica: Beatrice, Laura, Angelica e ancora nella poesia provenzale.
Per il nostro poeta invece, la donna diventa la protagonista assoluta e gli incipit di tutte e tre le poesie la celebrano, nella lirica " Il saggio ricorda la sua donna" si verseggia così: "la più bella, la più dolce, la più cara" e inoltre nel "la" non apostrofato dell'ultima strofa della stessa lirica, si intravede lo spazio che il poeta lascia alla donna, senza troncarla in una sua parte e/o funzione. Quella stessa donna che era il cuore della casa in cui lì passavano ore e ore a tessere con ago e telaio aspettando l'amato, adesso.. "lei tesseva il mio cuore", l'anello di congiunzione tra esperienza terrena e beatitudine celeste, il tramite tra l'uomo innamorato e l'altrove. La donna e l'uomo vengono naturalizzati, quasi come in D'Annunzio abbiamo una fusione panica, una metamorfosi della donna, paragonata al mondo contadino "dolce luna".."somigli alla paglia, al fieno", "porti trecce a cometa", ma anche una naturalezza dell'uomo": "il mio cuore di pietra". La poesia, dal greco ðïßçóéò significa "creazione" e proprio in queste tre meravigliose liriche è come se ci fosse la creazione di una tela di cuori intrecciati, indipendenti, liberi ma insieme, uniti e separati, insomma un amore che non soffoca ma che innalza "libertà in due", un sentimento che conduce all'Assoluto: "camminiamo su un letto di stelle".
In questi versi il nostro poeta Cangelosi si è mostrato "magister amoris" e con la sua roccia di valori, fa riflettere su tematiche importanti e quanto mai attuali, quale la semplicità di un sentimento vivo e denso nella nostra vita ma che spesso questo stesso deve fare la lotta con un qualcosa che rende talvolta le donne anche vittime di un non- amore.

«Amatevi l'un l'altro, ma non fatene una prigione d'amore.» (K. Gibran)  

...Ed il Saggio racconta

Lei tesseva il mio cuore di pietra
con spine e con rovi
melograni e fichidindia.
Cercavo canzoni nel buio degli anni
stornelli o ninnenanne.
Alloro profumo di marzo
vecchio abete al tramonto,
sorridi e poi dormi.
Ti vorrei nel sogno...
Ritorna dolcezza di mare.


Il Saggio ricorda la sua donna

Sei la più bella, la più dolce, la più cara
nei sogni soltanto ritrovo
la dolcezza del tuo cuore
di frutta a dicembre.
Tra i ghiacci di laghi stagnanti
e le ultime rane di terra.
Dolce luna quando il cielo è stellato
somigli alla paglia, al fieno
al cuscino dei miei sogni.
Porti le trecce a cometa e mi vuoi bene.
Come la luce ama il sole
sei la ultima
sei la prima.


La donna diceva al saggio

Con l'ago e col filo
ho cucito il tuo cuore
chicchi di nero frumento
quando le spighe ondeggiano al sole...
Lunghe file di formiche
tra spine e fili
di paglia ammucchiata.
Con l'ago e col filo
il mio cuore al tuo cuore ho cucito:
libertà in due
camminiamo su un letto di stelle.