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Racconti di Calogero Cangelosi, il poeta randagio
dal libro BARATRO, FANTASIA E...

IL CANE E IL VECCHIO

Il casolare di Giuseppe, o come tutti lo chiamavano Don Peppino, era in aperta campagna.
A confine, d’un lato, un burrone di cui nessuno aveva mai visto il fondo, per fortuna sua, e dai lati rimanenti, a finaituni, grandi distese di canneti e rovi. Qualche ramo di eucaliptus, un albero di mortella, ulivi e tanti altri alberi dove una miriade di uccelli si dava un gran da fare a nidificare e tirare su la prole. Don Peppino, ormai sulla settantina, viveva una di quelle situazioni ideali per quanti pur di fuggire lo smog e quant’altro è ad esso legato, sognano il sole, nel più profondo letargo; Don Peppino ormai era in eremitaggio volontario. Il cane dopo vent’anni di fedele compagnia, serenamente spirato, l’aveva seppellito da tempo. I ricordi della gioventù ogni tanto invadono il suo da fare quotidiano ed allora vorrebbe fuggire: lo ferma il profumo di menta che ha invaso mezza campagna, un pozzo pieno d’acqua cristallina dove il gallo di ferro gira tra tramontana e scirocco; lo fermano le sue galline, i suoi conigli, la capretta ed un asino che si trascina dietro quando va a far legna secca per l’inverno. Certo non ci sono i suoi vent’anni, né il grande mulo, sopra il quale, caricato uno zimmili da una parte e uno dall’altra, sopra lu sidduni, vicino all’aia, si affaticava con il tridente a riempirli di paglia, cibo sicuro per l’inverno ai suoi animali; il suo canto stonato fa fuggire gli ultimi passeri mentre le formiche di fermano a cercare frequenze congeniali al loro correre senza sosta e forse senza un perché, talvolta.
...E canta Giuseppe ed il suo canto è un invito al sogno di chi non arricchirà mai, di chi ama il proprio lavoro.
Il sogno si spegne in quella fredda e rannuvolata giornata d’inverno: pagine di vita senza ritorno: compagni d’infanzia per i vari continenti.
...I giorni sono sempre uguali e d’inverno piace partire col gatto, preparare la legna per il camino, mungere la capretta e riempire i polmoni di puro ossigeno.
Giornate che inseguono i giorni della vita silenziosa lontano dai baccani della città e di quel cosiddetto progresso che ha finito per distruggere il rispetto per le persone e per gli animali, (questi sconosciuti) e per le cose.
Ma in campagna è un’altra cosa, specie ad una certa età, si ripete il copione degli anni passati e don Peppino con la falce in mano oggi di reca a tagliare l’erba per i conigli.
Si ferma in mezzo alla campagna dove una piccionaia di legno racconta a qualche raro passante storie di secoli.
Più in là il richiamo alla mente delle antiche quindicine del mese di agosto in onore della Vergine Maria, ed i canti, allora come ora, entrano nel cuore a ricordare i segreti dell’eternità. All’improvviso volo di piccione visione tra un raro raggio di sole, un canto, un ricordo, e don Peppino rivive le voci e rivede un ragazzino che saltava di siepe in siepe...
E sempre nel cuore i rumori dei rami di un melo selvatico adottato dal vento e dal cuore dell’uomo. E di ritorno un canto sempre lo stesso.
Asciugare le poche lacrime con un rosso fazzoletto e continuare a raccogliere il pranzo per i suoi conigli.
...E già scomparso quel raggio di sole improvviso. Il ritorno, la visita alle galline, due uova fresche per una buona frittata.
Il vino buono è già nella botte.
...Sono venuti a trovarlo amici e parenti ed è stata una gran festa. Le forze non sono più quelle di una volta, l’entusiasmo invece e la gioia di vivere riempiono i suoi giorni, le sue notti.
...E di notte, ad un sonno che conosce un ritmo soltanto nel girarsi da un lato all’altro, ad un sonno che concede agli occhi un attimo di luce tra le coperte ben strette: la scuzzetta in testa il gatto ai piedi del letto...
Le notti a volte riempiono il buio di strani rumori: colori cangianti che sembrano voci o... abbaiare disperato di un cane.
Alle due di notte, quando il vento penetra attraverso gli spifferi delle finestre e gocce d’acqua pesante, ad intermittenza, bussano sopra il tetto, un uomo sopra la settantina, trascorsa forse, vorrebbe sentire canto di sirene, trovarsi in mezzo al mare a pescare o leggere le lettere lontane dei figli: invece è sempre l’abbaiare sempre più disperato di un cane, ad intermittenza, continuo.
Silenzio improvviso e si sente solo il vento che viaggia alberi e nuvole, che sbatte alla porta di casa, il vento, ma poi il cane riprende ed è un canto d’aiuto invocato, preghiera sottile, bisogno, in quella notte di freddo e di vento.
Coperta in spalla, scarpe e prantali ai piedi, scuzzetta in testa, una lampadina tascabile, una lunga corda, un bastone per appoggiarsi.
Ed il cane è li, si fa per dire, il suo grido disperato è lì, sale dal buio del burrone, senza nome e senza fondo.
...Senza perdersi d’animo don Peppino lega la corda più volte ad un grosso albero e comincia a luce di lampadina, a scendere a piccoli passi, tra rovi e ghiande, acchiappandosi con le mani: il suo busto è legato alla corda che scivola lentamente: piccoli arbusti di ciliegi selvatici o alberi di mele, sono il suo sostegno. Ogni tanto, tra il guaire del cane, la sua voce risponde ad un dolore improvviso: ruetti ed altre spine feriscono le sue mani ed il suo grande cuore.
“ Dove sei?”, comincia don Peppino, quando più forte riprende il richiamo, “dove sei?” riprende e poi, “ lo sai che io avevo tanti cani, uno addirittura aveva gli occhi di colore diverso...
...Da piccolo avevo pure un gatto grossissimo, bianco, tabbaranu si chiamava, ma forse era meglio chiamarlo cataprasima: non si muoveva di un millimetro nemmeno se i topi gli passavano sotto il naso. Mi senti, sto arrivando. Coraggio, ti salverò.”
I metri in discesa di solito sembrano più facili da percorrere, col buio però non si vedono, e don Peppino ad un certo punto ha paura di essersi smarrito. L’abbaiare del cane invece è vicino. Ancora qualche passo.
“Ciao, coraggio, ora sono qua.”
Il cane lo lecca, gioisce, ma non si muove e don Peppino lo lega di sotto per non farlo scivolare e poi si gira intorno con la poca luce rimasta in cielo: sciopero di stelle stasera: né lucciole.
Dialogano soltanto i riflessi del cane e dell’uomo. “Coraggio...” ...e così dicendo don Peppino mette un piede nel vuoto e scivola di qualche metro.
Ora al dolore del cane si aggiunge il suo urlo disperato: una gamba non si può più muovere: un dolore senza tempo lo prende, una sottile paura s’insidia nei suoi pensieri, si avvicina come può al cane e gli grida e si grida:” Coraggio”.
La notte, di solito, vola soltanto alle feste, alle gite, o quando si è in dolce compagnia; ma sopra il dirupo di un burrone, senza nome e senza fondo, le ore non passano mai, d’inverno specialmente.
Il cane ed il vecchio vorrebbero dirsi tante cose con gli occhi ma si è spenta anche l’ultima luce di quella lampadina.
L’unica soluzione aspettare che le soluzioni le trovi il giorno, con un po’ di fortuna.
La stanchezza, il freddo, ed il sonno a volte vincono il dolore e don Peppino ogni tanto in semi letargo, rivive i tempi dell’infanzia spensierata quando con poco in tasca, in mezzo alle strade di terra e di pietre, si inventavano giochi e giocattoli: ora mentre il dolore riposa, sta giocando col cerchio di un braciere correndo per le strade in discesa, tenuto ad un freno con un filo di ferro in modo tale da permettere al cerchio di correre in discesa, di salire per strada: il più bravo vinceva. ...Ma il dolore è dolore e non gioca col cerchio né alla fossetta il dolore reclama il suo spazio, non vuole giocare alle bocce, né fermarsi a mangiare fichidindia col coppu. Il dolore reclama il lamento ed il lamento diventa grido di uomo ed abbaiare di cane, alle prime luci del giorno.
Qualcuno passerà: e difatti come è solito fare ogni giorno, Salvatore passa da lì, col suo carretto in cerca di germogli e canneti per lavorare ai suoi panieri, alle sue ceste. Imparerà un giorno a fare pure li cannizzi, li coffi e li zimmili, che è molto difficile imparare, sembra che dica il suo fiscalettu.
Ed il rumore di grida umane arriva alle sue orecchie.
Scende dal carretto e si avvicina. Ora sente anche il dolore del cane, ma grida: “Don Peppino!” e don Peppino risponde.
“Corri in città, Salvatore, cerca aiuto, con me c’è un cane ferito, non so di chi è, ma é ferito, cerca un veterinario e gente con corde e scale lunghe, siamo qui intrappolati ed io mi sono rotta una gamba...”
...Ora sono tutti lì: il dottore, il veterinario, qualche assessore e tanti tanti curiosi. Su invito di don Peppino per prima si cala giù il veterinario, esamina il cane e poi invita don Peppino a salire.
“Dopo, dopo”, è la risposta, “...prima il cane.”
“ È suo?” chiede il veterinario.
“ No! “ risponde secco don Peppino, tra un misto di dolore e di liberazione.
Il cane viene salito sopra, dopo che è stato messo su di una cannara, poi tocca a don Peppino.
Attorno al cane ed al vecchio si crea un cerchio di persone ed ognuno dice la sua...
“Bravo!”
“Chi glielo faceva fare?”
“Di chi è il cane?”
Ed il cane vede il suo padrone e gioisce e muove la coda in segno di festa, ma non può muoversi per ora, ed il padrone di avvicina con gli occhi di tutti addosso...ed il cane è felice e festoso. Qualcuno chiede: “Come mai?”.
Ed il padrone risponde:”...è scappato dal finestrino della macchina, all’improvviso, mentre con la famiglia andavamo a trovare degli amici per passare insieme alcuni giorni... è saltato giù a circa dieci chilometri da qui e non l’abbiamo più visto...
Il vecchio alza la schiena, lo guarda misto di pena e pietà: “La prossima volta che andate a trovare gli amici, tenetelo chiuso il finestrino della macchina, chiuso.”

IL PROFUMO DELLA ‘RISTUCCIA’

Di mezzo autunno il profumo della terra è in pieno splendore. Dino si avvicina ad una pozzanghera tra disa e canneti: vola via un passero.
In lontananza un rumore di vento lento ed improvviso.
Dell’acqua nascosta attira Dino come il canto lontano di cardellini.
Il sole incrocia nuvole vecchie e nuove. Sebastiano, padre di Dino, sta raccogliendo un po’ di verdura per la sera: verdura cotta e fritta.
Il cane seduto sotto un albero di corbezzoli gira la testa ad ogni improvviso rumore.
In un fazzoletto di terra tra zagare di limoni e d’aranci si muove un universo nuovo.
Dino striscia attraverso il canneto e meraviglia e stupore negli occhi e nella mente: poco distante un curioso coniglio selvatico sta fermo e lo guarda.
Dino si ferma un po’ a guardare il rumore strano delle foglie degli alberi mentre un gatto solitario gironzola per la campagna.
Tutt'intorno una lunga distesa di ristuccia.
Uno strano profumo invade ogni cosa. Si sente vicino ragliare un asino con la pastura ai piedi mentre un contadino si ferma a parlare della vigna e del vino cotto, a finaita.
“Aspettiamo un bambino e l’inverno sarà lungo e difficile...”
“...Ciao Giovanni...” saluta e sorride il padre di Dino, poi si avvicina al ragazzo: “Che fai?”
“Sto preparando la terra per nuovi raccolti. Patate, ceci, lenticchie, fave, furmintuni.
Guarda come luccicano al sole i fichidindia.
Finalmente le arance non soffriranno ed i limoni li potrai vendere al mercato per comprare anche i medicinali alla nonna che sta sempre male.
Il padre, Sebastiano, inghiotte lacrime di saliva, poi prende il ragazzo per mano e lo porta a girare quel pezzo di terra, palmo per palmo, zolla per zolla, poi si rivolge a Dino: “ Dobbiamo partire per sempre, pazienza, senza ritorno. La mamma resterà a fare compagnia alla nonna, poi ci raggiungerà. Vedi, aggiunge, con questo pezzettino di terra prima si campava la famiglia, ed eravamo tanti, ora invece..”
“Ma ritorneremo?”...aggiunge Dino.
... “No, risponde il padre, no, non te l’ho detto prima, ma tanto vale che te lo dico ora...venderò la terra...”
Dino piange in silenzio: il profumo della ristuccia invade anche il cuore. Il dispiacere comincia a cambiare i colori della terra e modella strane figure di piante.
A finaita immense distese di aranci, limoni, vigneti infiniti che hanno bisogno di giovani mani di orgoglio e fatica, di giovani che sanno anche sognare un futuro migliore anche senza partire per terre lontane... ....e carrube...e melograni...
“Papà”, dice Dino, “io non parto,  partirete tu e la mamma. Alla nonna ci bado  io, devo fare diciotto anni fra poco, baderò alla terra e alla nonna, per noi basta, ed andrò anche a scuola.”
Una rana, compagnia improvvisa, saltella tra acqua ed acqua inseguita da un rospo: rare lucciole sul far della sera, mentre un sole veloce cala il sipario.
Al buio, il rosso colore dei corbezzoli risplende invaso da qualche lucciola mentre le api hanno già riempito un nido sotto il balcone.
Anche il cane è triste in quel lungo pomeriggio d’autunno.
“Questa è l’ultima zucchina, la mangio stasera, domani si vede... Aspetta, prendo un po’ di gramigna, può sempre servire...”
“Papà, partirete davvero?”
“Sì figliolo, non si può mangiare fame un giorno sì e un giorno no...”.    
 La casa della nonna è circondata da un piccolo giardino. Tutte le casette hanno un piccolo giardino: non manca mai il prezzemolo, il basilico, la menta, il rosmarino.
La nonna sempre in compagnia, poca pensione e tanta voglia di vivere.
Tra poco è Natale.
Per le strade già da tempo si espande l’odore delle castagne arrosto: porta qualcuno delle belle mele, rosse, una la lascia alla nonna, che con la busa  in mano sta riparando i calzini di Dino.
Il cane accovacciato sotto la sedia sta in pace col gatto per paura di restare fuori.
...Le galline oggi hanno fatto l’uovo e stasera si mangia sustanza. ...I ragazzi vicini non vogliono smettere, in cortile, di giocare con la trottola fino a quando genitori sorridenti ed arrabbiati li prendono a mezzobraccio e li portano dentro. Dolce calore si espande per la casa: il tepore del braciere. Letti infiniti coperti dalla cuttunina.
A lume di candela la nonna legge a Dino l’ultima lettera arrivata dal Nord.    
“...Abbiamo cambiato fabbrica, qui stiamo un po’ meglio, speriamo che voi stiate bene, un giorno staremo di nuovo insieme...”
......Un suono di grammofono si riversa di sera per case e strade: affacciata alle terrazze la gente conta le stelle del cielo e la miseria della terra.  “Ci vogliono idee nuove...” aveva detto il Sindaco...
Ogni giorno Dino fa visita alla sua campagna. Ormai ha fatto amicizia con alberi ed animali. Agli uni ed agli altri ha promesso che non farà mancare la sua presenza ed il suo lavoro, solo o in compagnia.  Un fulmine improvviso ha spezzato il grande ramo dell’ulivo, ma non l’ha rotto, e Dino, facendo come aveva visto fare al padre, pratica una fasciatura e raddrizza il ramo.    “...Chissà?...” Ogni tanto qualcuno passa, qualcuno si ferma:...
” Chi bedda terra, ma è picca pì camparici...  
“Tanti picca fanno assai...” sembra rispondere un cardellino dal nido sopra un arancio.   
E sono spuntati rossi e meravigliosi i corbezzoli di un albero che il caso o il vento ha portato in quella lenza di terra. Più in là un grande roseto nasconde qualche riccio che ha fatto la nidiata.
  Ora il Natale è alle porte e al Nord fa molto freddo e la tristezza prende il cuore dell’emigrante. Nuvole e pensieri portano a spasso nel cielo infinito una sola scritta: un giorno torneranno.
                                          In una di quelle fredde e corte giornate di dicembre anche il Sindaco si è trovato a passare vicino a quelle campagne quasi abbandonate che costeggiavano una trazzera da riparare ed allargare: il progresso piccolo o grande arriva dovunque.
...Dino è sempre lì, toglie erbacce, pulisce la sua piccola terra, il cuore e gli occhi rivolti sempre a quella piccola lenza di terra. Più pesante è la fatica d’inverno ma si deve mangiare.
Il Sindaco e l’assessore un po’ per curiosità, avevano sentito parlare tanto di quei piccoli appezzamenti di terra sparpagliati e quasi in abbandono o per stanchezze senza risultati o per necessità di partenze. Il Sindaco e l’assessore si avvicinarono a Dino. “Buongiorno dice il Sindaco...” e s’avvicina, “è questa la tua terra?”, poi rivolto all’assessore: “...però!..”
“Buongiorno”, risponde Dino a quella breve visita.
      A volte le sere d’inverno si tingono di una onorata tristezza quando manca la luce e si è soli. Attorno alla brace allora s’intravedono lontane Americhe e prende un nodo alla gola.
“ Ma io non voglio partire,” pensa Dino, “ gli altri sono partiti tutti e forse non torneranno più, ma quei pochi che sono rimasti, compagni d’infanzia e di miseria, devono trovare qui una valvola, una speranza.” Poi per fortuna il sonno prende ogni cosa ed apre il rubinetto dei sogni.
...I giorni della vigilia vedono tutti indaffarati. Chi porta la legna d’ulivo, rara e pregiata per camiari il forno, le nonne inventano buccellati di mandorle e fichi, un vecchio davanti la porta sta terminando una cesta con piccoli ramoscelli d’albero, pieghevoli. Il ragliare d’un asino lo distrae dal suo lavoro. Li posa per terra ed aiuta il figlio a scendere li quartari dai canceddi.
...In città però c’è qualcosa di strano.
Appesi alle pareti manifesti murali invitano a passare il pomeriggio nell’aula consiliare per argomenti importanti ed urgenti. La voce del Sindaco va subito al dunque in quella aula consiliare   piena di gente.
“...Non siamo in molti ma c’è la faremo...” poi rivolto a Dino continua, ”...bisogna, caro Dino, fare un grande sforzo, ...non ci saranno più carestie né emigrazione. Ho saputo delle condizioni di salute di tuo padre, lontano e pieno di preoccupazioni, scoraggiato. Ho parlato con tanti giovani pronti a prendere il posto dei loro nonni, dei loro genitori. Una cooperativa che aiuti tutti a portare avanti un grande progetto.
Appezzamenti di nuove culture, anche da esportare. Siete dieci giovanotti per ora, tutti con la terra a finaita. Datevi da fare perché è già in arrivo un finanziamento... per l’intanto...
...Un forte applauso in un momento di gioia ma poi i pensieri del come e del quando riempiono il cuore di ognuno....”
...E se poi va a male?..”.    
“... Non finirà male”, riprende il Sindaco, quasi leggendo il pensiero di ognuno, “no.”
    Il postino bussa alla porta più spesso da quando Nina e Sebastiano sono  partiti. Lacrime di commozione e di tristezza stavolta. “ Cara mamma, scrive Nina, Sebastiano ha forme d’artrosi che gli impediscono di lavorare a ritmo pieno. Di mese in  mese, meno ore al giorno e meno soldi. Io faccio quello che posso e per incoraggiarlo e per portare qualche soldo in più. Intravedo una triste vecchiaia: poca pensione e forse i soldi per pagarci il viaggio di ritorno o restare qui soli per sempre.
Il cuore di Sebastiano è pesante come un macigno ...non va più con gli amici e pensa sempre al ritorno. Al mattino si sveglia sempre con le stesse parole: “...anche pane e cipolla, ma a casa mia...”.  
Ora la nonna piange e sotto il materasso nasconde in una busta l’ennesima triste lettera...
...E finalmente nel cuore dei grandi e piccini è Natale. Qualcuno s’improvvisa zampognaro e passa di cortile in cortile.
I bambini con il vestito della festa, berretto in testa e fiore all’occhiello. I più grandi, di prima mattina hanno sistemato le stalle e le terre ed ora, eleganti, si preparano alla messa di mezzanotte.
A pranzo sono grida di gioia e saluti, si dimenticano i guai, il mondo sorride e riposa.
... Nei giorni che inseguono i giorni c’è un gran da fare da parte dei giovani negli appezzamenti vicino alla terra di Dino nel rispetto della natura e delle strutture preesistenti si stanno buttando le basi di un fabbricato che ospiterà i mezzi per lavorare la terra. Per dare vita e lavoro.
Stavolta il tempo e la speranza hanno camminato bene a braccetto e gli anni, due, non sono passati invano. Ora tutto è a posto. Della cooperativa oltre a Dino fanno parte ora una ventina di giovani.
Mai il mese di marzo era stato così atteso in questa città.
A casa, Dino, cercando alcune cose, s’imbatte nelle lettere che i genitori hanno scritto dal Nord: il pianto e l’impossibilità di poter fare qualcosa per loro feriscono il suo cuore, ma la speranza di un avvenire migliore per i suoi gli dà il sorriso.
“ Dino”, lo chiama la nonna, tieni questi soldi e falli bastare, telefona a tuo padre, stasera, quando si paga meno, digli di fare le valigie, di sbrigare le pratiche più urgenti e tornare subito qui. Qualcosa farà. Ormai la salute lo sta abbandonando e tua madre lavora tutto il giorno ed invecchia.”
      Ed è una simbiosi d’intenti il ritorno, il lavoro però?...
                    ...Marzo dell’inaugurazione. Ci sono tutti: c’è la Cittá e non solo: c’è la Provincia e la Regione. Tutti. La nonna, i genitori di Dino, Sebastiano e Nina, che con una spina nel cuore hanno dovuto lasciare il lavoro al Nord.  “Signori”, alto e solenne esordisce il Sindaco,”abbiamo, avete realizzato qualcosa per tutti voi, per tutti noi. Ora c’è lavoro per tanti e se collaboreremo, c’è ne sarà ancora di più. Ringrazio le autorità che ci hanno permesso questa realizzazione, ringrazio i giovani della cooperativa e Dino in primo luogo e la nonna di Dino che hanno sempre creduto, forse più per disperazione che per convinzione, in questo progetto. Mi permetto di salutare il nostro piccolo grande eroe, anzi due, Nina e Sebastiano, che nominiamo presidenti onorari dell’opera, con regolare retribuzione, meritevoli di non essersi mai arresi di fronte al lavoro, e che, anche se lontani, hanno agevolato il disbrigo delle pratiche, per quello che dipendeva da loro, ed ora che la loro terra e le altre terre per una serie di fortunate coincidenze, dà lavoro a tanti, mi pare più che onorevole che...” e qui piangono tutti o quasi...
Il profumo della ristuccia invade ogni cosa. E sono strette di mano e sorrisi di lacrime. Rimbomba in lontananza da tutti ascoltata la voce di un grillo: “Niente avviene per caso ma per la buona volontà e per l’operosità degli uomini che hanno a cuore la loro terra. Rispettate il lavoro, ed il profumo della ristuccia sarà per voi sempre un ricordo dell’anima.
Si girano tutti, intorno c’è solo un silenzio di quiete.

LA DONNA
(che apparecchiava la tavola, sola, nel balcone in montagna...)

Quando il sole tramonta in montagna il cuore si chiude alla speranza ed i sogni stentano a prendere forme vissute o da vivere in situazioni sempre volute.
Gli alberi lentamente perdono l’ultima ombra che li proiettava in una dimensione fuori dallo spazio e si preparano al grande sonno, sperando che la notte non porti luci pericolose.
Maria ritira verso la porta centrale il tavolo dove aveva cenato, si ferma un momento: note confuse di telegiornale, poi il pensiero la blocca per qualche secondo.
Ed è come correre attraverso il tempo quando il tempo camminava lento ed il profumo della natura viveva nella vita di ogni uomo, di ogni donna. Immagini scomposte popolano i suoi pensieri senza più tempo e spazio ma solo nel cuore della memoria.
...Di sera, ricorda, Luigi saliva in montagna tra viottoli appena accessibili, si tratteneva ai fili di disa, agli arboscelli di olmo o di ginestra.
Si appoggiava, a volte, a grossi macigni da dove, al rumore scappavano fuori o serpi o qualche coniglio che aveva perso il rifugio.
La montagna era sempre fiorita e Luigi si fermava spesso a raccogliere fiori con un coltellino, per lasciare le radici alla prossima fioritura: li portava a Maria.
I genitori di Maria, Stefano e Carmela, erano nati in montagna e lì avevano vissuto momenti bellissimi e tristezze infinite specialmente quando Luigi era partito per il fronte.
Poi dissero che guerre non se ne sarebbero fatte più, dissero....
Una lacrima scende leggera e lenta sulla soffice guancia di Maria, sui suoi anni e ...tante speranze. Ora il sole non lascia più spiragli di luce riflessa.
Gli uccelli, sfamati o meno, si preparano alla grande notte.
Si odono pigolii di assestamento: qualche pulcino si muove un po’ troppo.
Un carcarazzu svolazza su di una duccara cercando un momentaneo appoggio in attesa di riprendersi la sua parte di nido. I grandi ed alti pini luccicano ancora le loro foglie spinose.
...Ora Maria ha ritirato il tavolo dentro, ha chiuso le ante, lasciando poche fessure per non sentirsi sola. Nella casa dell’allegria, così dicevano, ora non ride più nessuno.
I telegiornali danno poche certezze a chi aspetta: confusione nel mondo, barcollano persone e cose.
Ritornano ancora alla mente i versi del poeta.
...Meglio andare a dormire.
Il sole di primo mattino filtra in montagna lentamente uomini e cose svegliando tutti i profumi. Alcuni uccelli già da tempo gracchiano il loro esserci anch’io, mentre voci umane confuse, canzoni di radio e scrosci d’acqua danno il benvenuto.
La luce accompagna le azioni ed i pensieri, asciuga la biancheria appesa al sole, trafigge il cuore-ricordo, apparecchiando, e assale immagini e vive sensazioni.
....Quel giorno di primo inverno Luigi ed il suocero, sempre d’accordo, erano andati di prima mattina a babbaluci.
L’acqua di notte aveva arrimuddatu la campagna ed agli occhi attenti non sfuggiva lu munzidduzzu di terra rimosso, tra fili di variopinta erba o scattatine di arbusti. Vicino al vecchio abete c’era una fila di attuppateddi. Stefano ed il genero ne raccolsero quanto bastava, poi due pietre-sedia riposarono i loro corpi già stanchi ...e...un rumore improvviso attirò la loro attenzione come di qualcosa che rotolasse per terra, ed uno strano modo di lamentarsi. I due si alzarono e guardarono intorno in mezzo alle troffe e non videro niente ma seduti si accorsero di un carcarazzu che roteava verso un sibilo di rumore, che ora, a prestar bene l’orecchio, sembrava la voce di qualche implume. Lu carcarazzu roteò più volte su sé poi afferrò per il becco il suo piccolino e si alzò in volo...ma gli cadde, stavolta, vicino ai due su un cespuglio di rovi. Le more verdi facevano una strana compagnia a quell’esserino che si muoveva come un pulcino nella stoppa. Più si muoveva più s’impidugghiava mentre il padre carcarazzu roteava nervosamente e a modo suo cercava di cacciar via genero e suocero. I due si alzarono ed ad un cenno di Stefano, Luigi prese il piccolo e lo posò più in là lontano dalla loro vista. I due poi si allontanarono per una scarpata in cerca di qualche frutto selvatico. Ogni tanto Stefano si fermava a raccogliere ramoscelli di arbusti per preparare un bel cesto piatto dove stendere fichi secchi, aperti d’estate, per poi farli essiccare. Ricordava le grandi scorpacciate, che non può fare più, di mandorle, accompagnate dalle grida affettuose e preoccupate della madre: “la ‘ntrita stai facennu” e fichi secchi e in mezzo le mandorle sotto un albero di gelso, davanti casa in cortile, dove le galline giocavano e dove, quando i gelsi erano maturi, bastava un soffio di vento ed addio camicetta nuova. ...
”E ...caro Luigi, prima che tu parta per il fronte ti voglio fare vedere come madre natura è buona con le persone. Hai visto la mia casa in cima alla montagna e tante altre case fatte a sudore di emigrazione e pane e cipolla: quella casa c’è la siamo sudata, l’abbiamo difesa contro il mondo intero”.
I due s’incamminano tra rare foglie ingiallite che svolazzano al vento e al cinguettio di passeri. Ogni tanto Luigi si ferma a raccogliere un fiore per Maria. “Le partenze, riprende il vecchio...
...meglio tornare sui nostri passi e avviarci verso casa...”.
Luigi annuisce.
I due riprendono il cammino all’indietro e rivedono il piccolo di gazza per terra che pigola ormai rassegnato, rassegnati anche i genitori che invano hanno tentato di portarlo sul nido. Stefano guarda Luigi: ”La giornata non è ancora finita per noi. Caro mio dai prova di quello che sai fare”.
Luigi tirò fuori dal lungo zaino una corda e legatala al fianco, preso il piccolo carcarazzu e messolo in un sacco largo, cominciò a salire l’alto pino fino a passare il piccolo di gazza nel nido, accompagnato dagli sguardi preoccupati del suocero e dal volo nervoso dei due carcarazzi... ... Le guerre cominciano presto e non finiscono mai.
Luigi nelle lettere, prima ogni suo passo poi solo il silenzio e l’ultima poesia che Maria legge tutti i giorni: quadro con fiorellini nel salotto.
LA GUERRA MAI:
Le parole, Maria,/ hanno perso ogni forma./ Si vive di silenzi/ confondendo i minuti del giorno./ Il pane lo mangi soltanto/ perché aiuta la speranza./ Qui, di fronte a me, è notte di tutto. ... Il sole stanco d’estate, la pioggia lenta e furiosa, qualche volta la neve, ma lei Maria, tutti i giorni apparecchia il tavolo nel balcone, per due e per sempre.

IL MARE E LA BOTTIGLIA

Ogni partenza lascia sempre ricordi duri a morire.
Partire a tredici anni per terre lontane e non tornare più asciuga le lacrime e ferisce il cuore per sempre.
Tommaso ora guarda i pochi ricordi trovati in alcune foto nel solaio...
Qui si era ad una festa di battesimo, rosolio e danze. Mazurca, tarantella, fox-trot, valzer e tango. Il più bravo veniva applaudito a lungo, la più brava festeggiata.
Le feste di un tempo erano occasioni d’incontri, eleganti occasioni del cuore.
Attraverso un buco del solaio filtrano strani raggi di sole: ruba i pensieri al ricordo sole stanco che brucia la terra.
Vecchio negli anni, nel cuore no, Tommaso trattiene le lacrime e continua a sfogliare ritratti di vita: “...E questi chi sono? Bisognerebbe correre il tempo, forse cento, forse cinquant’anni prima. Chi sono? ...Ti troverò mai immagine di fotografia che sbocci tra polvere e ricordi in una cassapanca che il tempo ha scalfito ma non distrutto? Ed io perché sono salito nel solaio?”
Antichi libri di stornelli e poesie, la vecchia pagella con i voti: e qui il tempo diventa un film: i ricordi di scuola sono sempre i più belli, terza elementare, l’ultima volta di scuola. Seduto su di una vecchia sedia di disa e lacci e poi lei..Daniela, i suoi tristi occhi. A volte improvvisa piangeva, il padre sempre al lavoro.
La cara campagna non dà più l’affetto che prende: la mula, l’aratro e la partenza: fratelli e sorelle: tutti. Cinquant’anni fa, Daniela lo baciò di sera. Salutò tanti amici e parenti, salutò. Tommaso anche lui tredicenne e poi... non ti ho più visto forever!
..."Cù parti lassa chiantu d’amici e parenti, c’è cù scorda prestu e cù mai...” Tommaso mai. Le giornate sono fatte sempre delle solite cose: la via della campagna, la stalla, la mula e poi... Quel giorno un caro amico, Giuseppe, lo invita ad andare a pescare, a mare, a pochi chilometri: è sempre una festa.
Galleggia a distanza, con le onde giocando, una bottiglia di vetro, lontana.
Il sole crea strane immagini di luce riflessa, filiforme, che colpisce la mente ed il cuore posandosi di tanto in tanto sulle acque.
Una bottiglia galleggia ancora verde di anni e di speranza.
I raggi del sole creano strani segmenti che colpiscono il bianco di dentro e poi spariscono nell’acqua. Dondola, alle onde donata, chissà da quanto tempo, la bottiglia. Forse nasconde segreti, come si usava una volta, forse caduta di mano a qualche maldestro frequentatore del mare e poi dimenticata. Ma è sempre il mistero che attira...
Tommaso si avvicina alla bottiglia, la prende, leva la custodia e seduto, le scarpe bagnate, sulla sabbia, legge:
“Ti aspetterò sempre, Daniela.”
Un sole cala leggero all’orizzonte e un’ombra passeggera copre le lacrime...

IL PRATO E LA LUNA

Il ragazzo che miete il grano e canta alla mezza luna sorride tra lische di paglia e lucertole che danzano al sole. Respira, tra zimmili pieni di sogni e acqua fresca di pozzo bevuta a sorsetti.
Aspetta paziente il venticello leggero che rinfresca il suo cuore e la sua mente.
Canta pensando al mare e ai meloni rossi.
Sogna una ragazza da portare in cima ai suoi sogni, amante della campagna.
Vede inverno al caminetto acceso e ricorda le antiche ninne-nanne: per fare addormentare i bambini. Michele non si ferma mai: il lavoro che si ama è come un gioco con la vita da portare in petto come i ricordi più belli. Marta è nel suo cuore da sempre.
Marta delle partenze e dei ritorni. Marta delle Americhe senza speranza di ricchezza tornata a vivere in campagna come lui, distante da lui, perché il coraggio ancora non l’ha avuto di dirle qualcosa.
E mentre il venticello storpia le canzoni che portano tanto lontano, l’occhio va alla nonna seduta sugli scalini di quella casetta di campagna tra le farfalle che le ronzano attorno e le api che sotto il balcone hanno fatto un nido di miele.
Nonna dallo scialle in testa che apre i fichi per metterli a li cannara e poi al sole ad essiccare, leccornie di vitamine per l’inverno sempre freddo e talvolta violento.
Un ramarro guarda con gli occhi girati quasi volesse imparare, ma prende solo al volo mosche sprovviste di buon senso o sfortunate.
Ed anche nonna Margherita invia canzoni nell’aria, quasi lamenti tra i denti, ed i capelli ancora neri, carezzandoli di tanto in tanto.
Marco, come tanti, un giorno partì per la guerra per non tornare più.
Ricorda la nonna, le canzoni nell’aia, le filastrocche dette in fretta quasi con pudore. Gli sguardi fuggitivi e le notti in cui o per il freddo o per le lunghe attese si accendeva più volte il fuoco del camino. ..E Michele ora ferma la mano e corre a levare il sacco di biada alla mula che lontano mangiucchia...
Michele ha un fratello lontano al quale ogni tanto lo porta il pensiero. Tommy si fa chiamare ma non chiama più né la famiglia né gli amici.
Forse non ricorda più i giochi nelle pozzanghere né le corse senza fine sulle siepi. Il gioco della fossetta?
Tommy è uno scienziato: da piccolo cercava il perché di ogni cosa: ora sa troppi perché. Deve salvare la terra e inventare nuove soluzioni.
Studia l’atomo e il nucleo e le possibilità infinite che l’intelligenza dell’uomo ha.
Inventa cose buone e cose. Annuncia rimedi con i suoi colleghi ma poi?
La nonna dice che Tommy salverà la terra. Lontano, sempre chiuso in casa, o sotto terra, senza sole e senza amici, cerca soluzioni ai grandi perché del mondo.
Forse sa ancora piangere quando pensa ai lontani giochi: ammucciareddu o con la trottola. Tommy il più bravo a scuola, il più intelligente, chiuso fra alte e robuste pareti per scoprire al mondo nuove formule per salvare i bambini dalla fame, per allungare la vita, per allontanare l’inquinamento, Tommy...
La nonna non ama ricordare per non piangere: Tommy non scrive più da quasi vent’anni.
Il dolce suono delle cicale, suono senza fine, chiama a realtà più accessibili. Se Tommy fosse qui? Ma ci saranno finalmente i ritorni in questa grande pagina della vita?

DIETRO IL MURO

Il sole filtrava silenzioso attraverso il carrubo. Un gatto spelacchiato...basta!
Sebastianus camminava da un punto all’altro della campagna e chiedeva insistentemente a Joseph: “Hai mai visto un muro di pietra? Hai mai visto un muro di pietra?” Seb afferrò Joseph e se lo portò dietro ad un muro di pietra.
“Guarda, gli disse, questo è un muro di pietra...e non ti chiedi come stanno le une sulle altre queste pietre, che verrebbe anche a me il pensiero di slegarle tutte per vedere come sono fatte le pietre... Guarda quelle più in alto, le pietre, e più in alto ancora.”
(Si avvicina un viandante di nome Quintus e si ferma a guardare.)
Quintus dice a Seb: “Perché guardate il muro di pietra?”
Seb risponde a Quintus: “ Taci, essere incomprensibile, il muro di pietra sublime che ti vieta l’oltre, ti limita, ti dice tutto questo al di qua, e tu, e tu sei contento e non vorresti altro: il muro che ti difende, il muro che non fa passare nessuno. Nessuno.
”E tu come mai sei entrato? Da dove?” Chiede Quintus.
Seb: “Ma io ero già qui, tutti siamo già qui, dove dobbiamo essere, c’è solo il muro di pietra e nient’altro tutto qui intorno... Il muro, guarda che pietre, i colori cangianti, le più piccole che sorreggono le più grosse, sembra tutto un mosaico. Tu non puoi capire il linguaggio del muro di pietra tu che conosci solo il cemento e derivati, tu che hai percorso gli spazi come potresti cogliere l’armonia ed il sorriso del piccolo fiore che cresce negli interspazi, piccole fessure tra un gesso e l’altra pietra, tu che coltivi i voli attraverso il cervello dei grandi strumenti capace di immagazzinare ogni cosa, e per un guasto improvviso lasciarti senza nascita, senza pranzo, senza cena. Tu che sai cogliere l’odore del limo che si ferma tra il vento ed il freddo, sai leggere negli occhi delle ultime lucertole che si affacciano al primo sole mattutino e sorridere, sai tu, Quintus o quinquagesimus o senza nome o senza più numeri, sai raccogliere l’ultimo grido spaurito del seme che si confonde con la rugiada e regala canzoni raccolte nel palmo di una mano?
Movimenti e schiuma dove i sogni al mattino perdono ogni armonia al primo telegiornale... ...Sdraiati a terra Quintus, respira il sapore del prato che riflette al mattino colore iride ed allegria. Non calpestare liriche nate all’ombra di un vagito.”
Quintus: “Seb, vorresti forse fermare il progresso?”
Seb: “Ascolta, Quintus, sono stanco di sentire sempre le stesse cose, dalle medesime persone, come... Se continuiamo così allora bla bla bla bla... e la terra ne soffre e l’uomo e la donna non avranno futuro...se bla bla bla... continuiamo così, il giorno dopo, e il giorno dopo, musica stonata, sempre uguale e monotona e triste... la terra è franata perché non c’erano alberi, ma prima c’erano ed ora non ci sono più, ed allora era meglio che qualcuno ce li metteva, ma nessuno ce li ha messi,... E qui che è stato? E qui pure...se invece era come prima, ma non lo è...musica stonata e triste che il bambino non capisce... e che continua fredda e monotona sempre uguale... e dei vecchi indifesi che ne facciamo?... E se uno sta male che si fa?...E dei più deboli? ... Ma io...Ma voi... Il mondo è di tutti...Come?... E qui c’era un buco e c’è caduto uno...ed era meglio che il buco non ci fosse stato. Ed era meglio era sempre meglio.
...Guarda sta spuntando un fiore e la lucertola ride da una fessura e si avvicina un bambino per raccogliere margherite per la mamma... e l’acqua viene giù dalla fonte... ed una rondine ci sfiora toccando il suolo... e dal pino più alto le farfalle intonano un canto eterno... su una panchina di pietra due anziani sposi rinnovano sogni e speranze... ed un giovane porta la mula all’abbeveratoio... e la mucca sta partorendo un vitellino...mentre un gallo disperde le galline per la campagna, sorride l’asino e raglia, i conigli saltellano e si lisciano i baffi, grugnisce un maiale e si rotola a terra: il sole ti sfiora tra i rami, ti sfiora e ti rende felice: tu uomo di paglia non distruggere il muro di pietra.

RAGAZZA AL BAR
(il suo sorriso nel cielo del mondo)

Al tavolo del bar seduti ragazzi e non: a terra beccheggiavano piccioni.
Odori di fiori intorno e di lontano la grande piazza immensa, senza un sedile dove appoggiare un piede per allacciarsi le scarpe.
Il mare sempre presente...
Ora la ragazza si avvicina al banco e fa per pagare: il suo sorriso incontra un sorriso smorzato.
La gente fuori conta il volo dei piccioni e scansa qualche cane randagio. Di tanto in tanto fra cielo e mare sempre presenti aerei e navi.
La ragazza mette la mano in tasca l’altra dal bancone prepara lo scontrino; un uomo ferma la mano e...bla...bla...sorride in un:
“Posso pagare io, se permette!” Lettera più lettera meno, vai a capire. Era basso e interessante. La ragazza fermò la mano, quasi sorrise e disse: “Perché?”
“Il giorno è lungo vieni e ti spiego...”
Era sudato sotto le ascelle e la camicia brillava di sudore. Perfino le sue iniziali.
Il mare sempre presente, la ragazza esce dal bar tra i piccioni e qualche avventore stanco e gonfio di dolci speciali.
“Li porterò a casa”
“Portali a casa,” gridò un piccione volando basso ed un cane aggiunse:
“Fai presto.” uno dei cani...
In effetti tanti cani erano altrove e randagi confusi con le case degli antichi, ma questa storia non ci appartiene. La ragazza chiede all’uomo cosa vuole e l’uomo parla di arte usa e getta, manifesti murali, tournée.
Di lontano appena è il ricordo di case confuse in mezzo al verde tra sinfonie di onde marine, di piccole navi alla ricerca di azzurro.
E lì tra le sabbie non sempre presenti ogni forma umana regala infinite stanchezze e preoccupazioni.
Il profumo si espande, le sue labbra dipinte nascondono imbarazzo e curiosità e verrebbe la voglia di fermarsi a questo punto con un punto e non andare avanti. La ragazza capisce che l’uomo le sta proponendo arte, teatro, TV, e poi chissà la fama e i soldi.
Lei così perfetta nelle forme che assaggiò appena un dolce, confondendo il resto col fazzoletto bagnato e col cesto dei rifiuti. E ribatte: “Ma è vero?” E l’uomo interessante e sudato tira fuori un depliant mentre si aggirano tra le statue altere e giganti di storia passata.
Una mostra poco distante nasconde altre sorprese.
“Ma lei davvero mi farà fare un film?”
“Sì”, ribatté, l’uomo interessante. Poi i loro discorsi si confusero tra la folla di cani, piccioni e viandanti: il mare sempre presente, mentre un’altra ragazza, quasi uguale vestita, entrava in quel bar forse per aspettare un altro uomo interessante e da film.

APPESO AD UN FILO DI RAGNO
(Ti manderò il mio sogno più bello dentro una busta colorata a fiori)

[anni dopo]
Quando l’acqua del mare s’infrange contro gli scogli e si rompe ed il sole al tramonto si veste di tutti i colori che la terra regala ed un bambino sorride alla mamma distratta per rubare carezze e...[quante cose lasciate in sospeso...(le faccio domani!)]... - Alberto, scendi giù dal pino hai cinquant’anni!
- Olga quando si vive l’età non conta...sorridi...
...la luna posava i suoi raggi sulla fertile terra, da dove, miracolo notturno, un fiorellino, spuntando la testa, sorrideva alla vita...e sospeso ad un filo di ragno e giorni e giorni fino a quando?...
In montagna pesci colorati giocavano a rincorrere la luce del sole...
- Non sporcare il vestitino nuovo -, gridava, sorridendo, la mamma, al bambino distratto...
Ed il sogno invade i ricordi ed una mano amica riflette i giorni del pallone e dei giochi in mezzo alla strada... ...Luna di giorno regala musica ad un cuore ferito! ...
...Al ritorno dall’abbeveratoio le mule lasciate a pascolare e li quartari chini d’acqua nel dammuso, per conservarsi fresca...
- Alberto, che fai appeso ad un filo di ragno?
- Gioco alla vita, Olga, alla vita.
...E la nonna buttò dentro la maidda le lasagne e poi una montagna di salsa...Un sorriso corale invadeva la stanza e la fame spariva tra canti di gioia e sorrisi amici...
- Scendi,- gridava Olga.
- Non posso, rispondeva Alberto, il prezzo è alto, altissimo. ...Se un giorno perderò te ti cercherò sempre... e poi sempre...
Le notti sono lunghissime quando la luna dimentica gli appuntamenti ed il sonno tarda a venire. Allora lunghe distese di sulla e capitomboli al sole, l’amaca sempre legata tra un pino e l’alloro, notti fredde senza mano amiche aspettando il giorno e la luce.
Spuntano sotto terra nuove forme di vita, piccoli fiori che giocano inseguendo la luce.
- Alberto, ( pomeriggio avanzato, Olga sotto il filo), Alberto sono venuti a trovarti i poeti, i poeti, i poeti...
...e sotto il filo tanti poeti leggono versi inneggiando alla vita ed ad un mondo migliore...
...Tornerà il poeta ad aprire le porte al sorriso...
- Alberto, grida Olga, mentre i poeti instancabili riempiono il cielo e la terra di canti.
...Tornerà il poeta, perché il mondo ha bisogno di poesia, d’amore e di pace.
- Alberto, quando scenderai dal filo?
- Quando il sorriso e la pace abiteranno la terra. ...E torna il sogno... ...e raccogliere fiori a tutti gli angoli delle strade, perché i fiori crescono e resistono pure sulle pietre dure: sono forti i fiori...
- Quanto hai preso nel dettato? -
- Dieci, nonna, dieci... ...ed ogni mattina pane e zabbina e l’elastico dei libri di scuola e capitomboli al sole... ...verrà il giorno della vendemmia senza rimpianti......e giocare al pallone...
- Scendi giù! - grida Olga.
- Possibile che non capisci che se scendo giù da questo sottile filo che mi lega alla... finisce il mondo. Devi avere pazienza, ci sarà un risveglio e tutto sembrerà un brutto sogno.
...Ritornelli popolano la mente e riempiono i pensieri e la luna: di notte la sofferenza ha il sapore dell’infinito... ...Dormire, quando? Potrebbe spezzarsi il filo senza preavviso: meglio vegliare sempre.
- Olga, coraggio, fai le cose che devi fare e sorridi al futuro. Se il giorno ha un’anima la presterà a me - dice Alberto.
...Se all’alba chiedi il respiro dei sogni e porti a passeggio le luci di un viale senza alberi a fiori... ...Una mano amica porta ancora il sorriso, altri si sono sciolti come neve: hanno dimenticato i raggi di luce e i doni senza chiedere mai: è la vita, e la vita è sempre bella a qualsiasi condizione...
Il silenzio degli alberi porta a passeggio i momenti più belli, mentre la notte triste e solitaria inizia il suo lungo cammino: legato ad un filo di ragno, in attesa di sogni e speranze Alberto accenna ad un sottile sorriso mentre un venticello gli fa compagnia: se avessi saputo...
- Ti manderò il mio sogno più bello dentro una busta colorata a fiori, ricordami sempre, Olga....Ma so che lo farai...
Se il sole e la luce si poseranno sul mio corpo stanco allora il sorriso non si spegnerà mai più...
...Abbaiare di cani stanchi ed affamati, in mezzo agli alberi, gridano al ritorno: luci di giorno e saluti a mai finire:...il ritorno...
...Riempire un sacco di storie vissute e svuotarlo e scegliere le più belle: non ti lamentare mai apri gli occhi e sorridi al mondo intero...
- Ma che ci stanno a fare le guerre se c’è spazio per tutti? È l’amore che manca spesso, e la gioia che regala il mattino, è il saluto di un bimbo alla mamma...

CAMPAGNA (SEMPRE)

Il giorno scorreva lento accompagnato dal suono musicale, di motivi ritmati del solito cannulicchiu che scorreva sempre tra una pietra-terra ed un viottolo invisibile tra sole e canti di passeri concerto continuo ed insolito.
Tra ghianda ed eucaliptus un venticello improvviso porta a spasso canzoni secolari.
Il cane Ciuriddu stinnicchiatu tra spazi improvvisi scansava l’acqua e giocava col vento e le foglie svolazzanti. All’arrivo di Tabbaranu il gatto, accoglienza festosa. Anch’esso di ritorno da Randagio in cammino due, ed è festa: bevuto un sorso d’acqua si coricò tra le pietre e la siepe.
E Randagio… dorme il silenzio dei giorni sempre in giro alla ricerca di valori infiniti e cascate di parole e poesie….dorme alla solitudine vivace colorata talvolta da arrivi improvvisi e partenze senza ritorno ai saluti. Riapre gli occhi mentre il sole gioca con i leggeri raggi di un sole bonario. Si alza Randagio e beve a quell’acqua amica e si lava e poi grida al vento al sole ed alla sua gioia di vivere la sua vecchia età. La Leggenda camminava sulle ali del vento.
In lontananza abbaiare amichevole di cani e amicizie che il tempo non ha scalfito.

 

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