Fabra Bignardelli Adalpina: nata a Palermo, dove vive e opera. Insegnante in pensione, già dipendente della Regione Sicilia è stata vice presidente del Consiglio Direttivo dell’Ass. Impiegati in Quiescienza della Regione Siciliana. Socia dell’Ass. Amici della Fondazione Thule Cultura, del Sindacato Liberi Scrittori Italiani, dell’Ass. Ottagono Letterario, dell’Ass. Amici dell’Opera Lirica Ester Mazzoleni, dell’Ass. UCAI. Autrice di: Fuochi d’Artifizio, Girotondo, Arcobaleno, L’Attesa, Caos, Luci d’autunno. Pluripremiata a livello nazionale e regionale, presente in varie antologie: Le vie dell’Infinito, Il Tempo delle Muse, Re Gatto e altri animali. Varie agende a cura di Elena Saviano (Lunario di poesia 2012), Tempo di... (2015, 2017, 2020) Antologie (Silloge bollettino periodico edito dal Premio Leandro Polverini di Anzio). Presente nell’Enciclopedia Palatina, nel Dizionario bibliografico degli autori siciliani tra ‘800 e ‘900, nel Periodico Rassegna siciliana di Storia e Cultura 2012. |
Con Carta e Penna ha pubblicato:
LUCI D'AUTUNNO |
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Dalla prefazione: Le stagioni della vita sono giunte all’autunno, come ci fa presente Adalpina Fabra Bignardelli e lei, da verace poetessa e narratrice, ha pensato bene di mettere in bella evidenza ricordi, sensazioni e impressioni legate al tempo passato, coniugando il tutto con grande incanto e nostalgia, senza dimenticare mai (e non poteva essere altrimenti) di leggere il presente e mettere in piena luce anche i similari, le sfumature del grigio, il fatto che “è bello saper donare e altrettanto bello saper accettare”. |
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AURORA |
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Dalla prefazione di Fulvio Castellani: Non gioca a rimpiattino con i suoi sentimenti e le sue emozioni al di là del contingente usando un verso suadente, una filosofia fatta d’amore per la Terra e per la vita che testimonia la sua capacità di riflessione e di dialogo con il dopo, con la gioventù che sta ereditando non poche situazioni di disagio.
Cosa c’è di meglio di un’aurora per vestirsi d’amore, per dire grazie a quella nuova luce che con dolcezza fluttua sorridendo in noi? Da queste vibrazioni emotive, la poesia di Adalpina Fabra Bignardelli esce allo scoperto (e non da ora), crea quel mosaico di speranze che finisce per avvolgere, usando anche uno sguardo trasognato, il silenzio di un vicolo cieco e seguire un nuovo itinerario di magia. C’è una primavera crescente nell’accogliere il tempo che passa, le stagioni che si intersecano, le lontananze che tendono a stringersi in un piacevolissimo girotondo di suoni, di aromi, di abbracci, di speranze... Una poesia pregna di visioni e di respiri pregnanti, di colloqui con l’Io e con l’altro, con la circolarità dell’essere e l’argenteo fruscio del vento che apre spazi nuovi ai giochi cinguettanti del pensiero, dei ricordi, della ricerca di pur tremule certezze. Se “la parola è una chiave” e “il silenzio è un grimaldello”, come ha scritto a suo tempo Gesualdo Bufalino, un tanto lo è (almeno ci pare) anche per Adalpina Fabra Bignardelli in quanto ogni sua ebbrezza emotiva sa essere una conquista, un grido al sogno, all’importanza di quel niente che può (e dovrà) diventare reperto di responsabilità, di equilibrio e di opportunità, perché l’oggi e il domani all’egocentrismo e al narcisismo non dovranno mai dare spazio. Purtroppo “la speranza è un rischio / ma induce a guardare avanti”, ci fa presente con versi caldi e pregnanti l’autrice. Come a dire che bisogna amministrare le libertà di agire, in quanto “Libertà significa / prendere coscienza delle proprie capacità / di vivere nella società, / riconoscendo a chi incontriamo / un valore aggiunto, / non un ostacolo / all’esperienza della libertà”. Ecco perché la poesia di Adalpina Fabra Bignardelli (e non da ora) viene letta con piacere ed ogni suo quadretto lirico ha colorazioni intense, genuinamente espressive. |
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PENSIERI E PAROLE |
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Pensieri e Parole è, in cronologia, l’ultimo lavoro della poetessa/scrittrice, Adalpina Fabra Bignardelli che, con il suo conclamato stile minimalista, in un linguaggio sempre chiaro e discorsivo, affronta, sulla scia di una riflessione indotta ed agevolata dalla crisi pandemica, i problemi della nostra contemporaneità. E lo fa – si direbbe – da par suo, sul tono di un intervento che miscuglia ricordi, nostalgie e visioni del presente, con la fiducia nel futuro di un Uomo, redento dalla Fede.Le parole, qui raccolte, in “libretto”, sono difatti, legate dal filo di una memoria che addita una realtà rarefatta, ma, nel contempo “viva”; resa tale dalla presenza, indelebilmente impressa nell’anima degli affetti, delle emozioni, delle sensazioni, delle pause, delle dolenze e delle dipartite: frammenti di un vissuto lontano, ma continuamente pareggiato con il presente; e così, nel Bene come nel Male, per rispettare quell’obbligo che l’Autrice sente per se stessa di ritrovare, sempre comunque, ciò che Lei definisce “le vie dell’essere”, al di là di ogni intralcio, ostacolo, cedimento o senso di solitudine.Non le sfugge, com’è ovvio, l’effetto radicalizzante prodotto dall’isolamento pandemico che ha sottratto all’Uomo il valore stesso della sua umanità, fatta di sorriso e capacità relazionale; di partecipazione e contatto, bisogno quest’ultimo mirabilmente espresso nel gesto simbolico del Dio della Sistina; ma Lei si volge principalmente al suo superamento: tempo non più sospeso, in cui è necessario ridare senso e valore a se stessi e alle cose che ci circondano; forti della vittoria sulla “forza oscura” del virus che, invisibile pareva indomabile.Il commento proposto da Adalpina Fabra Bignardelli è quello di ridare senso e consistenza all’idea di una libertà capace – dice la poetessa – “di colloquiare e comunicare con la Luce e con la Vita, contro il silenzio che uccide”; estranea, comunque, al frastuono assordante di una loquela senza memoria commemorativa: ché la parola è tale solo se si pone a fondamento della società e ne garantisce la continuità.Ecco perché quasi sempre, a sostegno dei suoi versi si ritrova il linguaggio argomentativo della Natura: verde nei suoi paesaggi di terra e azzurra nel cielo e nel mare; con l’aureo scenario dell’onnipresente e indomabile ginestra in fiore; oppure con il garrire di rondini testarde alla ricerca del nido, nonostante lo sfasamento dell’orologio climatico dovuto all’inquinamento; o ancora, lo splendido disordine della ritrovata isola di Vendicari che, tra piante acquatiche, eucalipti e canneti, dove albergano aironi e fenicotteri rosa, con la sua bellezza, testimonia la vitalità armoniosa del Creato, a riprova di come la disabilitazione possa trasformarsi in risorsa. Di fatto un ritorno all’energia dell’Universo quale antidoto contro la paura e l’incertezza di un tempo connotato da un ineluttabile senso di morte. Così, nel mondo silente di oggi quando la fragilità umana si è connotata di dolore, di violenza, di abbandono, diviene opportuno ricordare quanto sia veritiero il “male dell’esistere”; sicché l’unica salvezza è nella speranza di una ricomposizione tra ordine e dis-ordine, con la giusta attesa per l’Uomo di ritornare a sognare, a credere, ad amare e ad emozionarsi. L’un con l’altro. Solo così, allora, potrà accadere che il suono di note lontane possa, nonostante tutto, sciogliere angoscia e timore; o accadere che ritorni le fiducia nel vivere, sciogliendo quel grumo di compassione e sgomento lasciato dalla visione delle bare, in fila per “l’ultimo viaggio”, senza prossimità e senza pianto con l’unico conforto di Angeli fantasmi.L’uomo – conclude Adalpina Fabra Bignardelli – spiritualmente redento, non può e non deve “ammazzare il suo tempo”; piuttosto, uscito dal senso di precarietà dovuto all’incertezza, avrà quale impegno quello di ridare senso e spessore alla sua vita con una ritrovata coscienza poetica e una rinnovata consapevolezza della deità della sua persona, resa ancor più forte dalla Fede.
Pensieri. Accadrà? La risposta è di fatto, nelle riflessioni che animano gli scritti, in prosa, che costituiscono la seconda parte del “libretto”. Sono pochi ma significativi: chiave di lettura per entrare nel mondo della scrittrice ma, ancor più, utile ad entrare nel suo vivere di oggi, segnato dall’ingerenza molesta del Covid-19 che a Lei, particolarmente fragile per il peso degli anni, ha rubato inesorabilmente il tempo di vita. Si percepisce, infatti, come la crisi con la sua sospensione del tempo e con l’isolamento forzato, abbia acuito un disagio esistenziale già in precedenza rilevato, a fronte di una società che le sembra da tempo estranea e distratta, tutt’altro che inclusiva rispetto a quanti sono figli di un “altro tempo” e portatori di un “altro modo di vivere”. La moderna rappresentazione del reale, fondata su una comunicazione massmediologica e digitale che si chiude in un eterno presente, appare all’Autrice come una realtà da ripresentare sulla scorta di un Io narrante che, se da un lato ama riflettere sull’anima valoriale di cose desuete (la trapunta, la sedia a dondolo) dall’altro vuole introdurci nel suo universo critico dove, sulla base mnestica della propria lunga storia individuale, l’argomentazione risponde ai portati di un suo preciso punto di vista, atto a denunciare la presenza di un mondo contemporaneo che appare disattento, superficiale, spesso inconsapevole nelle e delle sue trasformazioni.Nel taccuino del suo odierno disagio, si ritrovano perciò annotazioni contro la fastidiosa violenza dei forestierismi che hanno reso, ad esempio, complicato il viaggiare (laddove la mobilità dev’essere un diritto di tutti) e con essi l’inevitabile valutazione sulla decadenza che sta “investendo” l’italiano, passibile di divenire “lingua morta” al pari del latino, a causa della ingerenza dei termini inglesi; tant’è che gli esperti, considerando il ritmo del nostro impoverimento lessicale, ci anticipano che massimo tra trent’anni si parlerà un italiano semplice, inglesizzato e meno colto. Senza dire che, allontanandosi la nostra lingua dalla tradizione umanistica greco-latina, si dovrà registrare, purtroppo, anche la conseguenza di una perdita dei processi di identità e di appartenenza.Poi, vi è l’evidenza di voler indicare, per combattere la crisi, un modello di sviluppo in cui si possa gestire un vero e sincero interesse per l’Uomo a tutto tondo.Indicativo in tal senso l’elogio della fratellanza che, trovando fonte nell’ecumenismo di Papa Francesco, si rivolge all’amore e al rispetto verso l’Altro, qualunque sia il colore della pelle, il credo religioso, la visione politica. Infine vi è l’accorata denuncia di come, sotto la spinta di un’alterata visione della modernizzazione, si stiano perdendo alcuni presidi significativi della nostra tradizione culturale. Così, ad esempio, le fiabe dell’infanzia che hanno sostituito i loro protagonisti tradizionali con gli attanti, spesso violenti, dei cartoni animati; così, ancora, la presenza estraniante dei tatuaggi sui corpi che, nati nel mondo primitivo, si sono divulgati nella nostra cultura, sotto la spinta delle mode e dell’influenza imitativa, gestita, in era globale, dalla spettacolarizzazione di massa.In altri termini la Scrittrice, a garanzia del futuro suo come di quello di tutte le future generazioni, indica la necessità di allontanarsi dall’ebbrezza felice di una realtà effimera e di superficie, basata, principalmente, sui consumi; perché altrimenti, senza la elaborazione del lutto generale, con la pandemia che ha segnato la nostra vita, mai si potrà metabolizzare il tormento e il dolore che, ad esempio, si è dovuto sopportare, ignorando quella condizione di carità e di pietà necessaria, nell’immaginario individuale e collettivo dovuto al culto dei morti, il quale non si è potuto svolgere con il conforto che la nostra cultura impone al momento del distacco.In conclusione il “libretto” Pensieri e Parole di Adalpina Fabra Bignardelli, può dirsi un pamphlet, senza satrapia: versi e note da leggere con leggerezza, ma da non sottovalutare perché racchiudono il “senno” di una scrittrice sempre attenta a leggere ed analizzare i contesti che la circondano, cogliendo la trama del divenire storico e culturale che ha segnato e segna ancora la sua, come l’altrui, vita.Un impegno di critica costruttiva e di riflessione che l’autrice affronta da protagonista esemplare, mettendosi in gioco. In specie oggi, e nonostante l’età, perché il nostro tempo sembra, davvero, avere disperso ogni certezza; e nel vuoto psicologico del presente, ancora di più, disperso il “senso della “durata”: quello che, di fatto, permette di dare per scontato la prevedibile continuità tra passato presente e futuro, a garanzia di una reale speranza, per un avvenire che non sia semplicemente una scommessa. Annamaria Amitrano |
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ANNA E I SUOI RACCONTI |
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Introduzione
Eravamo sette sorelle - ci specchiavamo alla fontana - eravamo tutte belle... Così recitava una poesia-filastrocca di Gabriele D’Annunzio; ebbene noi eravamo sette cugini molto uniti tra di noi, e lo siamo rimasti in tutto il corso della nostra vita anche quando per esigenze di studio o di lavoro nell’età adulta ci allontanammo, in quanto non tutti restammo nella stessa città. Figli di quattro sorelle, più che cugini ci sentivamo fratelli, insieme nelle giornate festive, ma all’occorrenza anche nei giorni feriali per qualsiasi cosa uno di noi avesse avuto necessità. Anna era la più grande ed io che scrivo queste note la più piccola, ella era molto bella e molto brava, riusciva sempre bene qualsiasi cosa decidesse di fare, e noi tutti la guardavamo come esempio da imitare. Appartenne a quella gioventù che dopo la seconda guerra mondiale con tanta fatica, speranza, gioia, impresse il tono di quella ripresa italiana che ci portò complessivamente al noto benessere economico e sociale. Noi tutti provenivamo dal quieto mondo piccolo-borghese con retaggi di nonni ottocenteschi, di genitori con le prime avvisaglie di profondi cambiamenti liberali, Anna invece appartenne alla generazione dei grandi cambiamenti, specialmente per le donne, (ingresso a molte facoltà universitarie, il voto politico, una maggiore possibilità di scelta nelle decisioni della propria vita). Anna fu la prima di noi sette a laurearsi, a vincere il concorso a cattedra, ad insegnare, ad andare in vacanza sola con le amiche senza genitori in una località sciistica (naturalmente sapeva sciare molto bene), a guidare, avendo un’auto propria. Era il nostro faro, la guida, i suoi consigli assolutamente preziosi e da seguire perché sempre validi. Vinse un premio ad un concorso per un racconto sulla bellezza della città di Torino e questo motivo la spinse a scriverne altri che dei giornali cittadini pubblicarono e quindi continuò a farlo; insomma qualsiasi cosa intraprendesse era sempre la più brava oltre che bella, la più perfetta. Questa perfezione non le fu propizia in amore, abituata all’eccellenza pensava che la stessa compiutezza funzionasse anche con un possibile compagno, ma non fu così. Credo che ciò per lei fu causa di grande tristezza, ebbe un crollo emotivo, lei sempre gioiosa e sorridente si chiuse in un tormentoso silenzio. Ma si sa, il tempo passa, anzi corre, ci disperdemmo fisicamente, restammo collegati con la corrispondenza e anche con il telefono, e all’occorrenza con i telegrammi (secondo l’uso dei tempi). Poi siamo invecchiati, e piano piano siamo spariti da questo mondo, le case si sono svuotate, è restato qualche lembo di ricordi. Dopo la sua morte e quella delle sorelle, liberando la casa come consuetudine, oggetti rimasti a lungo conservati escono alla ribalta, parlano di pensieri segreti, di sogni perduti, di malinconici ricordi, occhieggiano sbiadite foto in bianco e nero. Ben custodita la cartelletta dei racconti è arrivata nelle mie mani, ho sfogliato e letto, ed IO, l’ultima ancora in vita dei sette cugini, ho pensato che prima di far cadere tutto nella polvere del nulla era gradevole ristampare a memoria della nostra allegra brigata. Sono racconti semplici con situazioni e parole che narrano di un altro stile di vita, di un altro tipo di società, di altri valori umani che la tecnologia odierna, restringendo tutto all’essenziale e al frettoloso, ha spento ma, mentre ha dato la possibilità dell’informazione istantanea, globale, asettica, ha cancellato il dono del ricordo. Come giustamente scrive Robert Musif per l’uomo contemporaneo il mondo di ieri con le sue illusioni di armonia, di compiutezza, con le sue pretese di esattezza da ricercare in ogni campo, è finito per sempre. Dovremo, pertanto, costruire un mondo nuovo, ma senza conoscere motivi, situazioni, comportamenti del passato, non potremo crearlo. Spero che i pochi, ipotetici lettori comprendano l’intimo significato del contenuto di questo libro e il suo tenero ricordo, comunque ringrazio il mio destino per avermi fatto vivere esperienza di affetti semplici e gentili. Il cerchio si è chiuso. Adalpina Fabra Bignardelli |
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IL CANTO DEL CIGNO |
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Dicasi prefazione uno scritto più o meno breve premesso al testo di un libro, generalmente a titolo di presentazione o di giustificazione. Così cita il vocabolario quando si fa una ricerca. Ecco, dunque, mi presento con un titolo che viene appunto da una leggenda, la quale racconta come il cigno, dal suono vocale sgradevole, prima di morire, emetta un dolcissimo canto, un saluto alla vita che si spegne, un rammarico per tutte le bellezze della natura di cui non godrà più. Anch’io che scrivo, essendo avanti con gli anni, penso di chiudere il cerchio di tante attività che hanno riempito la mia vita; da qui la scelta del titolo di questo libriccino. Quanto al contenuto viene dall’avere aperto un cassetto dove per tanti anni ho conservato lettere, appunti, ritagli di giornali, citazioni e quant’altro determinava in me interesse e curiosità, non certamente tutto, altrimenti ahimé, che grosso volume!... ma ho scelto qua e là ciò che mi sembrava più accettabile e meno noioso per i miei ipotetici lettori. Sono il frutto di una intensa curiosità, non scortese e maligna, bensì per tutte le affascinanti notizie, pensieri, attitudini, culture, scienze, scoperte e altro ancora che nei millenni hanno attraversato e segnato il cammino dell’umanità. L’ingegno, l’intelligenza, il sogno di tanti uomini e donne che hanno portato il genere umano dalle primitive caverne all’intelligenza artificiale e quant’altro ancora del tempo attuale. Una curiosità che certamente ha logorato la pazienza dei miei genitori, a cui pure dalla tenera età chiedevo costantemente: “perché?” Era un’attenzione che avevo per la conoscenza delle cose, dei fenomeni della natura, dell’origine di una leggenda, o di un fatto storico. Attenzione, apprendimento e studio che sono durate per tutta la vita, d’altra parte per citare una frase della scrittrice Paola Mastrocola: “Lo studio annulla il tempo ed è ciò che rende presente il passato che altrimenti non esisterebbe” e concludo dicendo che esso è la formula delle scoperte future. Aggiungo, nella pagina a fianco, la poesia di un autore che con i suoi versi sintetizza il nostro cammino umano, che ha generato in me una piacevole tenerezza. L'autrice Questa silloge ha ottenuto l’assegnazione del 4° posto assoluto al Premio Nazionale 2024 di Poesia edita Leandro Polverini, patrocinato dall’assessorato alla cultura della Città di Anzio. La giuria ha redatto la seguente motivazione: Una raccolta poetica che celebra il valore significativo della natura, circonda la fragilità della bellezza, insegue i profumi e l’incanto della vita. L’autrice palermitana predispone l’animo a vivere spazi temporali e atmosfere di una dimensione capace di offrire la sapienza dell’essere e dell’assoluto. Quando si verifica appieno questa condizione dello spirito, allora siamo di fronte alla vera poesia. Dunque, una versificazione ricca, sorprendente, metaforica, che avviluppa, carezza, corrode, con un dolore dissimulato e sommesso.
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