Mignosi Picone Maria Elena: palermitana, laureata in Lettere Classiche si è dedicata all’insegnamento. |
Con Carta e Penna ha pubblicato:
S'IO FOSSI LUCE |
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In questa raccolta di poesie, S’io fossi luce, Maria Elena Mignosi rilancia tutta la peculiarità della sua parola trasparente. Nessun virtuosismo lessicale, nessun compiacimento musicale. Solo la sostanza, concreta, dei sentimenti che chiunque proverebbe se si trovasse a vivere le stesse cose che l’Autrice racconta nelle sue poesie. L’idea che dà il titolo alla raccolta è suggestiva: l’Autrice immagina di essere la Luce che vorrebbe vedere nelle persone e nelle cose del mondo, quasi spazientita per il fatto che ve ne sia troppo poca. O, meglio, lamentando – o forse ringraziando – che ve ne sia quel tanto che basta per desiderare che ve ne sia ancor di più.
Il mondo, infatti, è un chiaroscuro, una miscela di gioie e dolori, e non c’è gioia che non si porti dietro la penombra di un dolore, né dolore che non preluda a una tregua, a un sollievo che possa, se non eliminare il dolore stesso, almeno sospenderlo.I temi che, nelle varie poesie, riproducono questa oscillazione e questo chiaroscuro, sono quelli che l’Autrice ha sondato, con profondità di pensiero e delicatezza di animo, nelle altre sue numerose opere, sia in poesia sia in prosa. Sono i temi di Dio, dell’amore, del tempo e della morte. È innegabile, tuttavia, come questa volta vi sia un tema prioritario, che guida in filigrana la riflessione su tutti gli altri, ed è quello della morte. ma non della morte in generale, ma della morte della sorella dell’Autrice, Antonella. La commovente vibrazione con cui sono descritti i propri sentimenti di fronte alla morte dell’amata sorella, rende impossibile non sentirsi partecipi della stessa emozione. Nelle poesie dedicate alla sorella si trova certamente la chiave di tutta la poetica di Maria Elena Mignosi. Se la morte delle persone che si amano è così dolorosa, ci sarà qualcosa di immenso che essa nasconde. Ma nelle poesie dell’Autrice scopriamo che la morte dell’altro è peggiore della propria stessa morte. Facciamo esperienza della morte quando qualcuno che faceva parte della nostra vita viene meno per sempre. Ed è per questo che spesso temo più la sua morte che la mia. San Bernardo ha affermato: mortem meorum horreo: “ho orrore al pensiero della morte dei miei”. Ne deriva che la mia morte non è mai soltanto “mia”, ma è sempre anche la morte di coloro che, vedendomi morire, si sentiranno a loro volta morire. Né la tua morte è semplicemente la “tua”, poiché sarà sempre anche quella di chi, vedendoti morire, si sentirà a sua volta morire. La morte della persona amata, in effetti, esprime la contraddizione, lacerante, di un legame che si spezza proprio nel momento in cui si rinsalda. Ci accorgiamo di quanto l’altro fosse prezioso, infatti, quando ormai non c’è più. Il nostro legame con lui diventa più forte, dunque, proprio quando si spezza. E questo acuisce il senso di privazione e di perdita. Perdere qualcuno a cui si è legati è doloroso. Ma ancora più doloroso è accorgersi di quanto si fosse profondamente legati a lui solo quando lo si perde. L’altro non è mai così presente come quando viene a mancare. Insomma, pur essendo simboleggiata dall’oscurità, la morte, una volta avvenuta, illumina retrospettivamente la vita. Solo quando il prossimo è avvolto dall’oscurità della morte, infatti, lo vediamo nella giusta luce. Spezzando il legame che avevamo con lui, la morte lo rende ancora più solido e luminoso. Il punto veramente cruciale che l’Autrice sublima nella propria poesia è allora la “morte del prossimo”, dal latino proxĭmus, che è il superlativo di prope, e cioè “vicino”. “Prossimo” significa dunque “il più vicino”. La morte del prossimo è insomma la morte delle persone a me più vicine, alle quali voglio bene e che amo come me stesso e, talvolta, più di me stesso. Con la morte del mio prossimo, a ben pensarci, il mio mondo crolla più che con la mia morte: in fondo dopo la mia morte il mondo continuerà in mia assenza, ma quello che continua dopo la morte del mio prossimo non è più lo stesso mondo, ma un cumulo di macerie, lo spettacolo di una rovina permanente. Potremmo sopportare forse un funerale, ma non il ritorno nella casa vuota, in cui i vestiti e gli oggetti personali di chi è scomparso, i punti della casa in cui amava sostare, evocheranno il vuoto di un “mai-più”, che dopo lunghi anni di convivenza sembrerà ancora più doloroso che dopo pochi giorni di vita insieme. Qui un maglione, là, ormai scaduto da tempo, un documento di identità, lì un astuccio delle penne, e, fra le cose peggiori, un anello, degli occhiali, e cioè oggetti che facevano parte del corpo dell’amato. Ben più doloroso del funerale di una persona amata è, per esempio, ritrovare su un mobiletto i suoi occhiali. Ma la luce trionfa. Non però con la violenza abbagliante e invadente che non rispetta il mistero. È esperienza comune che chi rimane senta ancora, anche se in modo confuso, la presenza della persona ormai scomparsa. Occorre prendere sul serio questa sensazione, a tal punto che se qualcuno, a causa della morte della persona amata, si rassegnasse davvero al suo annullamento e dunque alla propria definitiva separazione da lei, commetterebbe un tradimento nei suoi confronti. La memoria poetica che Maria Elena Mignosi dedica alla sorella è in quest’ottica un atto di fedeltà nei confronti di un mistero. Il mistero di un’oscurità che non è mai buio totale, ma sempre penombra che lascia intravedere una luce. Che nella fede religiosa dell’Autrice è la luce stessa di Dio, grembo accogliente che tutto salva. Anche nell’apparente rovina della morte. Luciano Sesta
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ALBA ROSATA |
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Dalla prefazione di Mariella Mormino: Eccoci davanti all’ennesimo lavoro, al sublime telaio d’arte poetica e letteraria dell’Autrice, la Prof.ssa Maria Elena Mignosi Picone, che da novella Aracne, l’eccellente e mitica ricamatrice dell’antichità, dispone ed accosta sapientemente, quali fili policromi a diverse trame di tessuto, sentimenti, pensieri e sensazioni del suo sensibile animo d’esteta,tra allegorie, metafore, simbolismi e richiami classici, in una silloge intimista ed autobiografica, in cui si fondono e si intrecciano vari ricordi del passato, istanze del presente e speranze del futuro. Espressioni linguistiche, quasi sparse a cascata, descrivono nella totalità varie corde del cuore dando corpo e colore a plastiche visioni, ad immagini di un passato sempre vivo e mai dimenticato,a vividi sogni ed aneliti del suo animo inquieto e provato; musicali assonanze “pesi pesanti” arricchiscono e completano la gradevolezza dell’esposizione, ora pudicamente breve e scarna come il bagliore di un lampo,ora più lunga e descrittiva, seguendo sempre i moti del cuore: proprio questo difatti qui, è il vero indiscusso protagonista, che apre al lettore le più segrete stanze del suo scrigno, fatto di desideri e di aspirazioni facilmente riconoscibili: quel caleidoscopio umano fatto di sentimenti d’amore puro e fedele verso la famiglia, per i diletti nipoti, per l’amata e perduta sorella, per il caro cugino e per gli amici, di sincera gratitudine verso il bravo medico,di nostalgia verso i luoghi d’infanzia, di ammirazione per la bellezza della natura quel firmamento popolato di stelle che iconizzano le care anime defunte, ed infine di devozione e di preghiera verso Dio, supremo Autore di Vita e di ogni Bene, che dà senso alla sua vita costantemente protesa alla ricerca della Sua Divina Presenza. Nei suoi versi, si evincono così, le vicende gioiose e dolorose di vita, momenti critici alleggeriti unicamente dalla fede nel Signore, che ci ristora e ci solleva dei nostri terribili pesi e dona speranza certa quando sembra che tutto vacilli; si coglie ancora quello sguardo esercitato a leggere empaticamente la letizia nei volti delle anziane ospiti delle case di riposo, nell’esigenza di fare del bene, nel volontariato, nel voler eliminare le storture del sistema e le sue ingiustizie, passivamente accettate dai più,come normalità, per contrapporvi l’impegno, la solidarietà e la carità cristiane verso gli ultimi ed i bisognosi, ribadendo ognora la pressante forza della vita che prevale su tutto, ed anche se, nella continua lotta fra il bene ed il male, questo sembra vincere, resta salda la speranza di una vita nuova, nell’avvento del Suo Regno di giustizia e di pace e di perdono. L’Autrice leva quasi un grido nel supportare le istanze sociali, nella difesa di questa umanità tradita e svilita, auspicando un futuro migliore, roseo come “alba rosata” che dà il titolo all’opera, un mondo scevro da guerre e conflitti, fonti di distruzione e di macerie, che sia solo ammantato di pace. Si vive invece, in un mondo falso che insegue vane felicità, illusioni fallaci di potere, di successo e di gloria che non portano a nulla, “vanità delle vanità”, come insegna il biblico Qoelet; un mondo che riconosce la vittoria al più forte, al prevaricatore e al dominatore, finché non si manifesti la Potenza di Dio a ristabilire l’ordine, la pace e la giustizia, per immergerci in “un mare d’amore”. Il suo mondo interiore, che è vivamente permeato di cultura classica, umanistica e teologica ed arricchita dagli studi musicali di pianoforte e scientifici, come feconda pianta viene alla luce per offrire una selezionata raccolta dei suoi pensieri, le sue linee- guida del ben vivere (vedi “Paradosso” ), sapendo ricavare dalle prove della vita, la forza per contemplare intorno a sé la bellezza del Creato, sede e fonte privilegiata di rivelazione teologica, per ritrovarvi la presenza di Dio che tanto ama e che continuamente ricerca attraverso i segni, di quel Dio che è Perfezione e Bellezza assoluta. Come Gustav Klimt, soleva dire, “Chi sa vedere le cose belle, ha la bellezza dentro di sé.” Così anche noi potremmo dire, che chi sa vedere la Luce della Verità, già internamente la possiede nella coscienza e nella sapienza del cuore, che sempre soffre, vibra, palpita e spera. Su tutto sovrintende poi, l’azione illuminante dello Spirito a cui l’Autrice, di comprovata fede, si sottomette e lascia che tutto ne sia vagliato; sono riportate così immagini poetiche di grande suggestione emotiva, come dei quadri che si succedono, in sequenza di perle, collegati ed uniti da quel filo invisibile della Luce interiore spirituale che la guida. Il poeta, come ogni artista, per quanto sembra che scriva di sé e per sé, in realtà obbedisce a quel bisogno intimo ed insopprimibile di donarsi agli altri, di attingere a quel tesoro personale fatto di estro e di geniale creatività espressiva, per meglio comprendere e condividere insieme quel bagaglio umano di esperienze che è la vita. Non resta che augurare infine, all’illustre Autrice, Maria Elena Mignosi Picone, nota scrittrice, critico, saggista, oltre che poetessa, di continuare a trarre proficuamente dal suo creativo ingegno, preziosi frutti e luminose perle di saggezza da divulgare ai posteri perché coltivino in essi l’amore per l’arte, la cultura ed ogni forma di sapere. |
Per i lettori di Carta e Penna ha scelto:
UNA VOCE NEL DESERTO |
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In questo deserto di umana follia una voce sembra levarsi: è la poesia. Ma troverà chi l’ascolti? O essa è nata già morta? Finché però ci sarà un cuore sensibile che l’ascolterà c’è la speranza che il deserto in oasi si trasformerà. |
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IL CUORE ZAMPILLA DI GIOIA |
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Quando gli amici si ergono a difesa contro gli assalti di chi è maldestro, e senti l'audacia, il coraggio, la schiettezza, la benevolenza e l'affetto, allora il tuo cuore comincia a pulsare di gratitudine e riconoscenza. È questo il calore che sconfigge il freddo del disdegno e dell’indifferenza. È una gioia speciale che dentro di te zampilla, ti apre al sorriso e al mondo ti riconcilia. |
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È SPUNTATO L'ARCOBALENO |
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Dopo il temporale, quando il cielo era ancora tutto nero, volgo d'un tratto gli occhi al cielo, e scorgo l'arcobaleno. Mi è sembrata una rassicurazione dal cielo: “Non preoccupatevi, torna il sereno!” E guarda un po’, mentre scrivo queste parole, ecco che spunta il sole. |
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PAPA' E MAMMA |
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Scienza e Arte
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MATEMATICO |
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Un bel vegliardo
ho incontrato una mattina,
un matematico
della cerchia paterna,
me piccina.
Mi ha riconosciuta
e mi ha detto:
“Tu sei Mariellina!”
E mi ha raccontato
come tante volte,
poiché io facevo la raccolta,
aveva messo
nella mia manina
la d'allora col pesciolino
monetina. |
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ENRICO MEDI |
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Lo ricordo a Gibilmanna |
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PROFONDO DOLORE |
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Case distrutte anzi non uomo, Se viviamo tutti in pace la natura sarebbe benevola |
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COS'è? |
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Cos’è questa strana dolcezza che si diffonde nell'anima così estesamente e mi apre al sorriso? Cos’è questo incanto e stupore che mi dilaga nel cuore? È estasi di Paradiso. |
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PREGHIERA DIVERSA |
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Che dolcezza! Che freschezza sente la mia anima quando faccio una recensione e mi compenetro nell'anima dell'autore! È una pioggia salutare di rugiada che mi investe e mi trasporta in alto fino al cielo. È preghiera. Preghiera diversa. |
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LA LUCE |
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“-Sia la luce!-” E la luce fu" Così Dio la creò. E l'astro più bello che ci sia al mondo spuntò. Senza la luce è il buio in cui l'uomo si smarrisce e la verità che è nella luce tradisce. Luce è via, verità e vita. Luce è Gesù. E seguendo Lui sarai luce anche tu. |
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VISO ANGELICATO |
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L'ho incontrata per caso sul presto una mattina. Si tratta di Rosaria, una mia cara amica. Mi ha colpito quel giorno il suo viso angelicato. È una donna di fede, moglie e madre, attenta e premurosa, molto legata alla Chiesa. Eh, sì, si vede subito una donna che prega! |
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L'UMANITA' |
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Famiglia, società: ognuno fa in queste, esperienza dell'umanità. Terreno saldo, fertile, necessario e coinvolgente ma talora sabbie mobili e situazione deprimente. Difficie e dura l'opera di restaurazione. C'è quando riesce e quando no. Comunque di farne a meno non si può. |
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IL ROSSO E IL BLU, L'UMANO E IL DIVINO |
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Il rosso e il blu sono i colori dell'umano e del divino. Il rosso il sangue il blu il mare. E il mare dà l'idea dell'infinito, del trascendente e del pulito. Purezza, grandezza e immensità sono prerogative della divinità. |
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IL SUBLIME |
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Rugiada fresca del mattino celestiale sorriso d'infante perlacea luna nel blu di notte acqua di sorgente zampillante. Rosate sfumature dell'aurora porpora di tramonto infuocata azzurro di mare scintillante verde tenero de nostri prati. Sguardo estatico di innamorati sguardo brillante di futura madre e, verso il bimbo che smania, una mamma che allatta. |
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IL SOGNO E LA REALTA' |
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Quando la luna si veste d’argento
e gli astri brillano nel firmamento,
vien dolce il desìo di stare a sognare
di mondi incantati, di fate morgane.
E mentre il pensiero vola sul vento
l’uomo ignaro di qual sorte l’attenda
sogna una realtà migliore di questa.
Non è tanto semplice trovare la strada
che il più delle volte non è così chiara.
E si va lontani per capire la via
tra il proprio desiderio e la volontà divina.
IL CUORE ZAMPILLA DI GIOIAQuando gli amici
si ergono a difesa
contro gli assalti
di chi è maldestro,
e senti l’audacia,
il coraggio, la schiettezza,
la benevolenza e l’affetto,
allora il tuo cuore
comincia a pulsare
di gratitudine e riconoscenza.
E’ questo il calore
che sconfigge il freddo
del disdegno e dell’indifferenza.
E’ una gioia speciale
che dentro di te zampilla,
ti apre al sorriso
e al mondo ti riconcilia.
IIL BIMBO SORRISOAll’Ashur a mare
viene un bimbo speciale.
Ma che ha di speciale
questo bimbo del mare?
Il sorriso.
Ma voi potreste dire:
“Eh sì, tanti bimbi
aperti e socievoli
fanno così:
sorridono alla gente”.
Ma questo per lui
non è niente!
Cosa ha allora di particolare
questo bimbo speciale?
Ora ve lo spiego subito.
Gli arriva addosso
un’onda del mare?
Cosa fa? Un sorriso.
Gli arriva in bocca
l’acqua salata?
Anche qui, un sorriso.
O caro bambino,
tu non immagini neanche
quale lezione ci dai;
tu, come il bambino divino,
ci insegni la vita.
E pur con i capelli bianchi
c’è sempre da apprendere
dagli infanti.
Tu ci insegni
non solo
che la vita
la si affronta meglio
con il sorriso
ma anche ci insegni
una cosa difficilissima
a qualsiasi età:
il sorriso nella contrarietà.
IL DEMONIO E L'ANGELO“Tu uccidi un uomo morto”,
“Tu salvi un uomo morto”.
IL primo, assassino e vile,
l’altro coraggioso e divino:
“Gesù non spezzò la canna incrinata
né spense il lucignolo fumigante”.
Il demonio e l’angelo.
Cos’è la scienza, cos’è la legge,
di fronte a un atto di fede?
Diaboliche parole, sillabe rosse
intrise di sangue,
vaneggiamenti tragici
deliri di potenza.
Vergogna della scienza.
La civiltà è finita
quando c’è il vilipendio dell’amore,
il vilipendio della vita.
VENTOBrezza leggera
che ristori d’estate
alla marina.
Scirocco torrido
che infuri dall’Africa
nella nostra Sicilia
e inesorabile
non lasci respiro.
Vento d’inverno
sibilante e gelido
che penetri
fin nelle ossa
a dispetto
di qualunque mossa.
Vento pauroso
che sollevi tutto
in vortici di polvere
ostile e fastidioso.
Fresco venticello
di aria pulita
che sembri sussurrare:
“Com’è bella la vita!”
Di questa infatti
sembri l’immagine
ricorrente e varia
fatta di bene e di male.
Dai tanti volti
ombroso ed amabile
ma di una cosa soltanto
ti raccomando:
“Troppo non ti agitare!”
BORGATA MARINARABasse casette
assembrate insieme
baciate dal sole
carezzate dal mare;
barche da pesca
fiancheggianti il molo
pronte per partire
la sera con le lampare.
La chiesetta col campanile
dove convergono
per la messa gli abitanti
di fronte all’arenile.
Gente semplice e rude
pescatori e massaie
che lavorano e faticano
per un pezzo di pane.
Questa è la borgata marinara.
Il mare la bagna
calmo o tempestoso
il sole la illumina
e la fa brillare di luce.
Dopo il tramonto
si accendono i lampioni.
La notte è ammantata di blu
e sembra proprio un presepe
dei tempi di Gesù.
DONNADonna! In questa parola
c’è racchiusa una perla
che a te molto si addice:
l’essere signora. Infatti
dal latino “domina”.
Ma la tua signoria non è
come quella maschile;
se in lui è la robustezza,
in te è la tenerezza.
Qui è la tua vittoria.
Sì, questo significa
essere signora.
Ma la tenerezza non è
qualcosa che si sfracella
ma qualcosa di duraturo:
un pugno di ferro
in un guanto di velluto.
Donna, tu sei la roccia,
il fulcro attorno a cui
ruota la famiglia e la società,
tu sei il faro per l’umanità.
Ma come Gesù che fu amore
e morì crocifisso, talora
anche questa è la tua sorte:
dall’amato la morte.
Ma che dalle tue ceneri
l’amore risorga!
E non dimentichiamo mai
che la vita viene da donna.
RISVEGLIOBuia era la notte
e senza stelle
quando guizzò una luce.
Era il risveglio.
Dai rami spogli
spuntaron le gemme
pure le foglie
i boccioli e i fiori.
Come nella natura
c’è il risveglio
a tempo opportuno
così nell’uomo
non può esserci
soltanto buio.
E’ la stessa natura
con le sue gemme
I boccioli e i fiori
che sprona l’uomo
a superare i dolori.
“Svegliati” sembra dirgli
“non vedi le margherite
le ginestre e le mimose
i glicini e le rose?”
La rosa nel giardino
ormai è fiorita
e sembra sussurrargli:
“Suvvìa, ama la vita!”
Perciò allora
nel deserto del cuore
spirò un venticello
e si schiuse il sorriso
che rischiarò il viso. |
Per contattare direttamente l'autrice scrivi a marielenamignosi@gmail.com