Biasion Martinelli Mariateresa: è nata a Cinte Tesino (Trento) il 05-03-1956, attualmente abita a Luserna San Giovanni, dopo più di 30 anni vissuti a Orbassano (TO), con il marito Daniele. Ha due figli: Davide ed Elisa e 6 nipoti: Gabriel, Pierdavide, Aurora, Lavinia, Mario- Joseph e Daniele. E’ diplomata Ragioniere e Perito commerciale. NEL MARE DEI RICORDI (2015), per aver conseguito il 1° Premio nel Concorso: "PRADER WILLI" E’ presente con 15 Poesie in: Nel 2020 ha pubblicato con CARTA E PENNA il volume di Racconti: "NEL GIARDINO DELLE MILLEFOGLIE, CONFETTINA E ALTRI RACCONTI", per aver ottenuto il 1° Premio nel Concorso: "PRADER WILLI" 2020. Nel 2022 ha pubblicato il volume di poesie: "DEDICATO FINALMENTE A TE, MADRE" CON LA CASA EDITRICE MONTEDIT, nella collana "SCHEGGE D'ORO”, per aver ottenuto il 1° Premio nel Concorso Letterario: "VERSI E PAROLE IN LOMELLINA" sez. Poesia . |
Con Carta e Penna ha pubblicato:
FRAMMENTI DI VITA |
|
Primo Premio Sezione Poesia a Tema Premio Letterario Internazionale Prader Willi - Quarta edizione
Dalla prefazione: "Il libro di Mariateresa Biasion Martinelli, costituito da racconti che sono stati scritti nell'arco degli ultimi dieci, quindici anni, da quando cioè l'autrice ha cominciato a cimentarsi anche nella scrittura in prosa, rappresenta, per questa ragione, l'evoluzione delle sue capacità narrative. Noi infatti conosciamo Mariateresa Biasion Martinelli principalmente come poetessa, e siamo abituati al suo personalissimo stile, capace di evocare emozioni, immagini, sensazioni profonde, semplicemente usando le parole, poche parole, distribuite come solo lei sa fare, in armoniosi versi, trasformandole in canto dell'anima. Il libro si apre e si chiude proprio con una poesia, come se l'autrice avesse voluto aprire e chiudere una parentesi, una sorta di inciso per raccontare di più, per esplicitare maggiormente i contenuti del suo universo interiore che le sono sembrati irraggiungibili con la poesia, e quindi indescrivibili in versi. Mariateresa Biasion Martinelli ha trovato nel racconto una forma espressiva più soddisfacente per rispondere all'urgente desiderio di ricordare lei, la nonna Alceste, alla quale il libro è dedicato, perché nell'intreccio narrativo tra realtà e finzione, la sua storia ne rappresenta il nucleo, la struttura portante.
...
Insomma "Frammenti di vita" è un libro che deve essere prima letto tutto in un fiato, perché afferra il lettore incuriosendolo e commuovendolo, e quasi non si lascia chiudere prima di essere giunti all'ultima pagina, ma che dopo richiede una rilettura più attenta per coglierne i messaggi, i dettagli delle descrizioni, le emozioni nelle loro più profonde sfaccettature. Leggerlo ci confermerà la vocazione dell'autrice non solo verso la poesia, ma per la scrittura in genere, regalandole l'immortalità nel panorama letterario del nostro secolo.
Giuseppina Ranalli
|
|
NEL MARE DEI RICORDI |
|
I ricordi non sbiadiscono mai, si ripresentano anzi con sfumature più o meno diverse tinteggiando le giornate con il calore di uno sguardo, di una stretta di mani, di un sorriso essenziale, autentico. È quanto si condensa nella poesia di Mariateresa Biasion Martinelli: con tonalità leggere e mai banali, con una brillante interiorità, con una voce espressiva fatta di bellezza e di verità. Scorrono con piacevole armonia immagini e palpiti del cuore, ricordando il padre (il rumore dei suoi passi, la sua voce profonda, la sua chiesetta alpina), rivolgendosi al Signore ("scorgo la croce, o Signore. / |
|
NEL GIARDINO DELLE MILLEFOGLIE, CONFETTINA E ALTRE STORIE |
|
Dall'introduzione dell'autrice:
Come trasformare un piccolo giardino in un mondo incantato dove gli alberi e gli animali (tutti scritti con la lettera maiuscola) dialogano, si emozionano, vivono gioie e dolori, avventure e quotidianità, provando sentimenti di affetto, di solidarietà, di piccole gelosie, commettono errori, compiono atti eroici, trascorrono insomma una vita quasi umana, nella quale prevalgono però i buoni sentimenti e le piccole mancanze vengono presto ovviate da gesti di pace e di perdono? Semplice, con la Fantasia, nel cui spazio può esistere un Giardino Incantato, quello delle Millefoglie, teatro di vicende che mescolano una minuscola parte di realtà ad una grande dose di immaginazione, con un pizzico di insegnamento, che non ha la pretesa di essere niente di scientifico, che contiene comunque una morale, come ogni fiaba che si rispetti. Silvestro, Bella, Ulla, Palma, Acer, i Cipressi e le tutte le altre Piante, che ospitano nidi e tane di scoiattoli, popolano veramente un giardino, simile a mille giardini, dove sui fiori volano farfalle colorate, fra l’erba crescono i fiori e gli uccellini cantano, fra il frinire delle cicale e dei grilli. Ovviamente, la Fantasia ha suggerito la creazione di favole, ambientate in un luogo normale, a dimostrazione che ogni angolo della Terra, ogni creatura, ogni granello di polvere sotto la volta celeste possono ispirare avventure, che aiutano ad apprendere senza annoiare e ad apprezzare le creature che popolano questo nostro pianeta, così poco rispettato dal genere umano. E speriamo che le piccole storie del Giardino delle Millefoglie costituiscano una lettura piacevole per chi ha voglia di conoscerle. |
Per i lettori di Carta e Penna ha scelto:
MADRE |
|
Madre, quante volte era l'urlo del vento a portarmi parole mai dette, come aceto su acerbe ferite. Madre, quante volte era il sussurro del salice antico a cantarmi ninne nanne dimenticate. Madre, quante volte era il sospiro del tempo a ricordarmi un amore celato dalle ceneri di anni lontani. Madre, oggi è il silenzio delle stelle sul ciglio del cielo a ridarmi la nostalgia che credevo perduta, nostalgia di una mamma bambina. Madre, mai come ora che sei partita per un viaggio senza ritorno ti penso... ti chiamo... Risponde soltanto l'urlo del vento e il sussurro dei rami del salice antico. |
|
DAL CIELO ALLA TERRA |
|
Quel giorno, nell'immenso spazio siderale, l'attesa era più grande del solito: infatti sarebbero nate le nuove Stelline e tutti dovevano controllare che le nascite fossero eventi felici per le Mamme Stelle e che il Mostro Ork non catturasse qualcuna delle neonate per portarla con sé in una profonda e sconosciuta grotta, di cui nessuno conosceva il fondo, ma di cui tutti avevano paura. Ork era un terribile e oscuro Essere, che rubava tutto quello che di bello riusciva a catturare nell'immenso Universo. Ad aiutarlo c'erano le tremende Tempeste Spaziali, che creavano attorno a lui confusione e nebbia, nascondendolo perché potesse afferrare le sue prede e che gettavano nel vuoto tutti i Corpi Celesti che volevano proteggere le piccole Creature appena apparse nella Volta Celeste. Per questo c'era nell'aria un'ansia terribile e tutte le Stelle, i Pianeti, le Meteore , i Satelliti, le Costellazioni e le Comete avevano creato una catena luminosa attorno alle Stelle Madri. Buonvento soffiava per ora dolcemente, cercando di non far avvicinare le sue nemiche: le Tempeste. Ork era certamente nascosto fra le Nebbie create dalle Tempeste Spaziali, seppure queste ultime fossero lontane dalle culle ancora vuote. Le Stelline sarebbero dovute nascere una dopo l'altra, con l'aiuto di Via Lattea e delle sue ancelle, le Stelle Gemelle, che dalla notte dei tempi si dedicavano al compito difficile, ma dolce, di aiutare le Stelline a vedere la Luce. Luce illuminava ogni cantuccio dell'Universo, in modo che non ci fossero angoli bui, dove Ork potesse nascondersi. Tutti trattenevano il fiato per non disturbare quel momento magico, soltanto Buonvento alitava lieve e gentile. Ad un tratto l'aria venne pervasa da mille e mille vagiti: le Stelline erano nate, tutte... no, una piccolina non era ancora riuscita a trovare la via e la sua Mamma era disperata, ma nessuno sembrava accorgersene, ognuno aveva un compito ben preciso da svolgere, anche la luminosa catena dei Corpi Celesti si era sciolta per dirigersi verso le nuove nate e osservarne la bellezza, mentre le Mamme Stelle cullavano ognuna la propria Creatura, stringendola delicatamente con le punte, anche per tenerle vicine a sé e lontane da Ork e dalle sue cattive Tempeste. Quando alla fine la piccola Stellina venne alla luce, nessuno le era accanto per proteggerla e Ork, che vedeva ogni cosa con i suoi occhi cattivi, ordinò alle Tempeste di catturarla in un vortice tremendo. Mamma Stella cercava di trattenerla fra le sue punte, ma il suo amore e la sua forza nulla poterono contro la potenza di quegli Esseri malvagi. Quando Via Lattea e le Stelle Gemelle si accorsero di quello che era successo era troppo tardi, la Stellina era scomparsa e Mamma Stella sembrava aver perso parte del suo splendore a causa dell'immenso dolore. Buonvento si mosse veloce alla ricerca di Stellina, che avevano deciso di chiamare Edel, ma riuscì soltanto a scorgere in lontananza lo sguardo feroce e soddisfatto di Ork, circondato dall'urlo agghiacciante delle Tempeste. I cattivi erano felici dell'infelicità che avevano portato in un momento così lieto per tutta la Volta Celeste e soprattutto erano soddisfatti di aver catturato finalmente una Stellina. Per giorni, che erano lunghissimi nell'Universo, cercarono la piccola rapita, ma Ork l'aveva nascosta nelle profondità della sua tenebrosa caverna, l'unico luogo in tutto il Cielo dove non entrasse mai Luce. La piccola Edel aveva aperto gli occhietti sperando di trovarsi fra le punte dolcissime della Mamma, ma quale fu la sua sorpresa nell'accorgersi che intorno a lei regnavano il buio e il silenzio: nessuna luce, nessun suono, niente di niente, soltanto freddo. Ora dovete sapere che le Stelle e gli Esseri Celesti, già prima di nascere conoscono ogni cosa del loro meraviglioso mondo, sanno riconoscere la Luce, che li raggiunge nella loro culla fatata, nel pancino della Mamma e conoscono i suoni del Cosmo e anche le Ninne Nanne celesti, forse perché abitano vicino agli Angeli e sanno che appena nati troveranno un caldo abbraccio fra le punte della Mamma, che si piegano come braccia per stringerle a sé e li guardano con occhi pieni di meraviglia e di splendore. Edel era sempre più spaventata: nulla di quello che aveva immaginato raggiungeva quel luogo oscuro e gelido. Cercando di non piangere, la piccola chiamò con una vocina flebile la Mamma, che ovviamente non poteva sentirla. Invocò lo zio Buonvento, ma le rispose soltanto un fischio lacerante che la spaventò sempre più. E allora capì: si trovava nella grotta di Ork, che era riuscito a catturarla. Vi chiederete come la neonata sapesse già dell'esistenza del Mostro, semplice: mentre la Mamma attendeva la sua nascita, le narrava bellissime favole , ma le raccomandava anche di stare lontano dall'unico luogo scuro e profondo del Cielo. Alcune lacrime brillanti scesero sul visino della piccolina e illuminarono per un attimo quel luogo spaventoso, perché le lacrime delle Stelle sono in realtà gocce di Luce, ma la visione del terribile Mostro la terrorizzò e così chiuse gli occhietti, cercando di lanciare nell'aria un grido d'aiuto capace di superare le pareti della caverna, ma le rispose soltanto la risata malvagia di Ork, insieme al rumore dei vortici creati dalle Tempeste. Stanca e triste, Edel si addormentò. Nel frattempo, dopo molte inutili ricerche, gli Abitanti del Cielo si erano ormai rassegnati alla sua perdita, tranne Mamma Stella, che continuava a girare fra le Costellazioni, chiedendo se avessero visto una Stellina luminosa e chiara: la sua Edel. Madre Stella si recò dalla Costellazione dell'Acquario, ma scorse soltanto Stelle-Sirene, fra le ali dell'Aquila vi erano soltanto le Stelle Volanti, lo stesso per la Colomba, la Bilancia scosse i suoi piatti, per la prima volta nel corso dei millenni, commossa dal suo dolore, il Cigno mosse il suo lungo collo e fece scaturire mille Stelline, ma fra di loro non c'era Edel, la Chioma di Berenice agitò i suoi lunghi capelli, ma Edel non era nascosta fra di loro, il Dragone sputò fuoco, ma le fiamme non riuscirono ad illuminare il luogo più buio del Cosmo, la Giraffa allungò il collo per scorgere ancora più lontano, ma fu inutile, i Gemelli abbracciarono la povera Mamma, almeno loro non erano mai soli, Orione circondò tutto il Cielo con la sua preziosa Cintura, ma di Edel nessuna traccia, l'Orsa Maggiore e l'Orsa Minore accompagnarono sul loro Carro la viaggiatrice, ma non trovarono la strada per raggiungere la Stellina scomparsa, le Costellazioni alate volarono per l'intero Universo e quelle che rappresentavano un animale corsero per le infinite Vie Celesti: inutilmente. Rimaneva soltanto la Costellazione dello Scorpione, da tutti temuta per il suo veleno, ma Mamma Stella non si fermò e la raggiunse. "Che vuoi da me? Come mai non mi temi come gli altri?", esclamò il minaccioso insetto dalle otto zampe. E la Stella rispose: "So che non sei cattivo come dicono, che indossi soltanto una maschera per fingere di essere forte, ma io sono una Mamma e cerco mia Figlia, niente mi può spaventare, inoltre anche tu hai intorno a te le tue Figlie e certo capirai la mia disperazione!". "Ho sentito parlare di te e della tua piccina scomparsa, ma pensavo che non saresti passata da me, tutti mi evitano, soltanto Ork spaventa più di me, ma lui è veramente cattivo, mentre io no". "Lo sapevo - esclamò la Stella - e allora aiutami, cerchiamo la grotta di Ork, dove credo che Edel sia prigioniera e liberiamola, chiamiamo le altre Costellazioni in nostro aiuto e vedrai che lo sconfiggeremo, ti prego!" Scorpione, per la prima volta, si sentì veramente compreso e tenne un discorso a tutti gli abitanti del Cosmo, che capirono che non era un tremendo insetto, così si riunirono e trovarono la caverna di Ork, che aveva mandato in vacanza le sue aiutanti, ormai sicuro che nessuno l'avrebbe scovato, mentre la piccola Stellina era diventata ormai bianca per la mancanza della Luce e per l'infelicità. Ork si vide perduto e lanciò la sua prigioniera verso la Terra. Purtroppo nessuno riuscì a fermarne la caduta e lei atterrò sulle rocce di un alto Monte. La sua Mamma era disperata, avrebbe tanto voluto raggiungerla, ma Luce la pregò di rimanere, anche di lassù avrebbe potuto vedere Edel. "Ma morirà" - gridò la Mamma. "No - la rassicurò Luce - io sono la Madre di tutti gli Esseri dell'Universo e parlerò con la Luna perché la illumini nella notte e con il Sole perché la riscaldi e la tenga in vita, parlerò con le Rocce e la Terra, perché le diano le radici e il nutrimento e con la Pioggia perché la disseti. Vi potrete vedere ogni notte, quando tu apparirai nella Volta Celeste, conserverà il suo bianco splendore e sarà figlia del Monte, oltre che tua!" Madre Stella, pur con grande dolore, accolse quelle parole e chiese soltanto che la sua piccola conservasse il suo nome, unito a quello del suo bianco colore: "Edelweiss" , la Stella Alpina, che ogni notte parla con la sua Mamma e le sue Sorelle e che ogni giorno rallegra le Rocce con la sua bellezza. I suoi petali sembrano di velluto: sono le carezze che Madre Stella le invia da lassù non avendo potuto tenerla fra le braccia appena nata. |
|
PERFETTIBILI AMORI |
|
Piange la notte
lacrime di nero velluto,
mentre il buio,
lacera,
indifferente,
incubi e sogni.
Incurante e crudele,
imprigiona
anime ferite
da mercenarie passioni,
consumate su strade
ormai deserte
di ogni residua dignità
e
spegne faville di gioia,
sprigionate
da ardenti amplessi,
tessuti su talami,
coperti da veli,
color di madreperla.
Ma le lacrime della notte
bagnano ogni volto
sorpreso dall'amore,
e
acuminate come spine,
o dolci come miele d'acacia,
trasformano il deserto
in rivoli cristallini,
cancellando ogni granello
di umana imperfezione. |
|
I RAGAZZI DI NASSIRYA - (12-11-2003) |
|
Ma io vi dico: amate i vostri nemici, che merito c'è ad amare gli amici.
(Gesù)
Nere ali,
avvoltoi di morte,
nel mattino senza sole
di Nassirya.
Crateri di sangue,
brandelli di vita
nell'aria immobile
di Nassirya.
Urla silenziose,
anime divelte,
nelle strade polverose
di Nassirya.
Non così
dovevate lasciare
la terra martoriata
di Nassirya. |
|
E VENNE LA PACE... |
|
E venne la pace...
e fu come credere
che avremmo potuto
ridere ancora
e cantare
e gioire
e sperare...
Contando le croci,
un battito d'ali
germogliò fra gli steli
bruciati dal gelo
e una bianca farfalla
si posò sulle braccia protese
di legni percossi dal vento.
Una goccia di pioggia
bagnò gli occhi sbarrati
di un bimbo.
E nel pianto sgorgò
il suo primo sorriso.
Un raggio di sole
scaldò quelle mani
unite in preghiera. Ed allora..., venne la pace. |
|
LO SCRIGNO DEL CUORE |
|
Conservo nel cuore
le parole non dette,
i versi non scritti,
le carezze non date:
prezioso tesoro
di antichi gioielli,
racchiusi
nello scrigno della vita,
abitata
dai nostri silenzi
non vuoti
di quelle parole,
di quei versi,
di quelle carezze... |
|
SILENZI |
|
Nei silenzi abitati
dai cupi fantasmi
del passato,
dall'affannoso respiro
del presente,
dalla sterile attesa
del futuro,
consumiamo
vite parallele,
che non s'incontrano
negli universi
dell'indifferenza.
Nei silenzi popolati
di parole
che consolano,
di gesti
che soccorrono,
di affetti
che abbracciano,
percorriamo
sentieri
che s'intrecciano,
nei fili
di esistenze vissute
nel cuore
dell'umana, condivisa
fragilità.
|
|
RIFLESSI |
|
Ho temuto
di scordare
la tua voce,
ma ne ho sentito
gli echi
nel silenzio del bosco.
Ho temuto
di non ricordare
il rumore
dei tuoi passi,
ma ne ho seguito
le orme
nel cammino della vita.
Ho temuto
di poter cancellare
i contorni
del tuo volto,
ma li riscopro
ogni giorno
in quello di mio figlio.
Ho temuto
di dimenticare
il colore
dei tuoi occhi,
ma l’ho ritrovato
nel verde dei miei,
riflessi
nello specchio incancellabile
dei ricordi. |
|
A MIO MARITO |
|
Nei giorni crudeli
del dolore,
nei giorni disperati
del rimpianto,
nel buio di notti
di veglia,
nel chiarore
di un'alba nuova,
tu sei stato con me.
Grazie,
per i tuoi abbracci
di conforto,
per le tue parole,
sincere
nella loro crudezza,
per avermi sempre
detto la verità,
grazie,
compagno della mia vita. |
|
PER SEMPRE. SULLA TUA PELLE. |
|
Non appena vide quel volto dai tratti marcati, i lunghi capelli liberi nel vento, la ragazze pensò: “Ecco è lui che vorrei sulla mia pelle! Chissà a quale tribù appartiene? Chi furono i suoi antenati? Verso quali orizzonti è rivolto il tuo sguardo?”.
Quel viso l'aveva irrimediabilmente conquistata. “quale nome gli avrà dato suo padre?” si chiese la ragazza, prima che il sonno chiudesse i suoi occhi.
La prateria era avvolta nel buio di una fredda notte invernale, rischiarata soltanto da una sottile falce di luna. I lupi ululavano affamati, così vicini al villaggio da lasciare le impronte sulla neve fresca, lungo il recinto dei cavalli.
Nel tepee, chiuso da una pelle di montone, la ragazza dormiva, i lunghi capelli biondi incorniciavano un viso d'alabastro. Ad un tratto, un ululato più forte la svegliò, gli occhi neri si spalancarono terrorizzati. Balzò a sedere sul giaciglio, senza sapere dove si trovasse, chi l'avesse condotta in quello strano luogo: chi era? Che cosa era accaduto? Perché non ricordava nulla di sé?
Il fuoco si stava spegnendo, istintivamente, aggiunse della legna per ravvivarlo e disperdere quella sensazione di vuoto e di freddo.
La pelle di montone si spostò all'improvviso e, nell'apertura, apparve un volto, rischiarato dalla debole luce lunare: era un indiano, dai lunghi capelli, gli occhi neri, ma buoni: “Non aver paura, terrò lontano da te ogni pericolo!" disse e scomparve.
La giovane si riaddormentò, rassicurata, come se avesse già conosciuto quell'uomo e sapesse di potersi fidare di lui.
La mattina risvegliò il campo indiano: la giovane bianca uscì dalla tenda: si sentiva confusa, era consapevole di essere molto diversa dalla gente del villaggio: i suoi capelli e la sua pelle erano chiari, soltanto gli occhi erano neri come quelli della gente che la guardava, come se la conoscesse, quasi fosse con loro da lungo tempo.
Nonostante la sua memoria fosse un foglio bianco e nonostante non trovasse alcun senso di appartenenza verso la tribù, si sentiva quasi serena, priva di qualsiasi timore. Scese al fiume per lavarsi. La gonna e la camicia che indossava erano consumate. Una giovane indiana le porse una tunica di morbida pelle di daino, dei mocassini ed una pelliccia di volpe per proteggersi dai rigori dell'inverno.
Lungo la riva, donne e bambini si immergevano in quelle acque gelide.
Ad un tratto, fra gli alberi, apparve lo stesso guerriero che l'aveva rassicurata durante la notte. Fra i capelli corvini piume bianche decoravano le lunghe trecce, il suo cavallo, dal manto nero e lucido, ispirava la stessa forza dell'uomo.
Improvvisamente, senza una ragione apparente la ragazza lo chiamò “NUBE che CORRE" ed egli incredibilmente, le rispose con un cenno della mano, poi sparì nel bosco.
"Ma perché conosco il suo nome: era stata un'ispirazione dovuta alla sua immagine o sapeva che si chiamava così?" pensò la giovane turbata, ma non trovò nessuna risposta. L'inverno trascorse lento e rigido; mille interrogativi turbavano le notti della fanciulla: com'era giunta al campo indiano? Non parlando la lingua della tribù, non poteva chiedere alcuna spiegazione.
Ogni volta che incontrava qualche difficoltà NUBE che CORRE era accanto a lei per aiutarla, anche se non le parlò più, forse aveva sognato anche le parole sentite la prima notte in cui l'aveva scorto nell'apertura del tepee.
Nonostante l'amnesia e la nostalgia di un mondo dimenticato, ma che doveva appartenerle, la ragazza si trovava bene con gli Indiani.
Piano, piano, acquisì le loro abitudini, imparò ad apprezzare il loro cibo, iniziò a parlare la loro lingua. Capì, cosi, che la chiamavano: "RAGAZZA di LUNA" perché la sua pelle e i suoi capelli erano lucenti come l'astro notturno.
Non smise mai di chiedersi chi fosse, da dove provenisse, perché si trovasse lì, ma, vedendo che tutti la trattavano come fosse cresciuta con loro, non osò rivolgere alcuna di quelle domande.
Era ormai primavera, nuove creature popolavano il bosco, uscendo dalle tane; nuovi fiori spuntavano sulle rive dei ruscelli, resi impetuosi dal disgelo.
Con l'arrivo della bella stagione, la RAGAZZA di LUNA, anziché rifiorire, cadde in una profonda tristezza, e a nulla sembrava valere l'affetto dei suoi amici, che la trattavano come una principessa ed ai quali era ormai affezionata.
I fiori, il canto degli uccelli, gli scoiattoli, le lepri, la vita che rinasceva, aumentavano il suo desiderio di sapere.
Una sera, mentre intrecciava i suoi lunghi capelli, NUBE che CORRE le si avvicinò e le parlò usando per la prima volta una lingua familiare: "Perché sei triste, RAGAZZA di LUNA, come puoi provare nostalgia per ciò che hai dimenticato?"
Lei non rispose, ma sentì le lacrime pungerle gli occhi e scenderle lungo il viso, mentre la sua anima era divisa fra un mondo che aveva scordato, ma che sapeva appartenerle, ed uno che aveva imparato ad amare e di cui faceva parte quel giovane e valoroso guerriero.
NUBE che CORRE, incapace di resistere a quel muto dolore, spronò il cavallo e scomparve tre gli alberi.
La sera, mentre la RAGAZZA di LUNA cercava di dormire, nell'apertura del tepee apparve il volto di NUBE che CORRE. "Vieni - la esortò- ti riporto al tuo mondo, ricorderai il tuo passato e scorderai questi mesi trascorsi con noi, soltanto l'immagine del mio volto rimarrà sempre con te, sulla tua pelle di luna!"
Poi l'aiutò a salire sul suo cavallo, i lunghi capelli corvini uniti a quelli biondi, nel vento di primavera.
La ragazza si svegliò nel suo letto, nella stanza a lei cosi familiare, nel colorato disordine. Avverti un leggero dolore alla spalla sinistra.
Si alzò e corse verso il grande specchio dell'armadio, guardò la spalla e, nonostante il lieve bruciore, sorrise, soddisfatta e felice.
"Ti chiamerò NUBE che CORRE è un nome che ti si addice, con quei capelli scompigliati dal vento, devi essere stato un guerriero valoroso, che cavalcava nelle praterie della tua terra, su di un magnifico cavallo." esclamò la ragazza, ammirando il bel volto riflesso, tatuato sulla sua pelle. E, nonostante l'allegria, senti una fitta al cuore, e una lieve carezza, come un leggero soffio d'aria..
Lei non ricordava nulla della promessa fattale in sogno o chissà dove, da NUBE che CORRE, ma lui l'aveva mantenuta: la sua immagine sarebbe rimasta con lei, sulla sua pelle di luna, per sempre. |
|
AFORISMI: Sì GRAZIE! |
|
Il vocabolario della lingua italiana lo definisce così: aforisma: n.m., massima, sentenza, definizione, che in brevi e succose parole riassume e racchiude il risultato di precedenti considerazioni, osservazioni ed esperienze. Aggiungerei: piccoli spilli, appuntati sul taccuino della vita. Forse oggi parlare di aforismi, può sembrare anacronistico, ma queste piccole perle di saggezza ed ironia, credo siano sempre vive e stimolanti.
Chi di noi non ha tentato in un apparentemente elementare tentativo di scrittura, di inventare definizioni, tra lo scherzoso ed il profondo, fra il serio ed il faceto, di alcune parole che richiamano concetti filosofici o pseudo-tali. È importante capire che queste massime non contengono necessariamente verità inconfutabili, sarebbe retorico ed anche ridicolo nonché poco saggio soltanto pensarlo. Esistono, come in tutte le forme di scrittura, aforismi totalmente banali e privi di senso, altri che non condividiamo (è scontato affermalo). Del resto, l’autore esprime un proprio concetto e, quindi, un pensiero condivisibile o meno. Nel 1997, attraverso un concorso, è stato pubblicato un volumetto che richiedeva agli autori: “Un aforisma per il prossimo millennio” a cura di Domenico Cara.
Spero di non annoiare nessuno riportando alcuni aforismi da me inviati e ritenuti adatti alla pubblicazione. I temi erano rigorosamente fissati ma vari, eccone alcuni:
APPARENZA: la carta d’identità degli sciocchi.
AVIDITÀ: stato bulimico dell’egoista.
IO: dove la grammatica e la realtà s’incontrano perfettamente e cioè: io, prima persona, ed unica, singolare.
IRREGOLARE: tutto ciò che non assomiglia al nostro pregiudizio.
MEDIOCRITÀ: stato perenne del materialista.
METAMORFOSI: l’abito della falsità.
PERDITA: oggi, attualmente: grave lutto economico, mancanza di utili aziendali.
SILENZIO: il grande assente del nuovo millennio.
UTOPIA: la grande fede che sconfisse i tiranni.
Spero di essere riuscita ad esprimere una certa ironia! Mi auguro che un argomento così insolito sia riuscito ad interessare qualche lettore e, soprattutto, ad avvicinare alla scrittura coloro che vorrebbero provare a farlo, ma non si sentono pronti a lunghi discorsi. |