Dalla prefazione di Fulvio Castellani: "Sono le stagioni, con le tante variazioni di colori, di attese e di malinconiche accelerazioni, a veicolare in Laura Fasson un continuum di emozioni e di ricordi, ad incapsulare la gioia del raccontarsi e del confrontarsi con l’ieri, con la realtà in continuo movimento, con quella magica danza che si veste d’amore e di profumi...
Non dà tregua al suo canto poetico, Laura Fasson.
Ogni immagine ha la melodia di una luce soffusa, quasi un volo di nuvole e di stelle, in cammino verso l’Oltre dal profumo intenso...
Con versi ben modulati, ogni riflessione diventa una tavolozza di sapiente bellezza interiore; ogni carezza di luce (all’alba o al tramonto) incarna un volo leggero che suggerisce brividi di vento, sussurri alati, grappoli turgidi di un sentire ricco di cadenze musicali. “Quanto è bello sentire / da lontano / canti che si spandono / da filare a filare”, ha scritto nella poesia Vendemmia. E questo cantare, sussurrare, ascoltare, toccare con mano anche l’impalpabile... diventa, in tal modo, uno scorrere del tempo ed un cullare la malinconia con occhi mai stanchi, con dipinti che ci avvicinano alla primavera giù passata, al sorriso del padre, a quel silenzio da riempire affidandogli pensieri, parole e frasi emozionati...
La poesia per Laura Fasson è, dunque, vita che si fa amare e che fa accrescere la gioia anche se talvolta si trasforma in malinconia.
“Chi non stima la vita, non la merita”, ha scritto Leonardo da Vinci nei suoi Frammenti letterari e filosofici. Ebbene, Laura Fasson è una fedele interprete di tale assunto, ci sembra: come a dire che la sua poesia vola alto e che la sua parola ha il suono, magico e voluttuoso, di un vecchio mandolino o di un’arpa che pizzica e ci trasmette sensazioni gradevolissime.
Ogni stagione ha una sua testimonianza ovvero un calco inconfondibile: le nuvole sbarazzine e il garrire delle rondini (la primavera), le foglie che cadono e i grappoli turgidi (l’autunno), un raggio di luna che suggerisce un incontro di labbra ansiose (l’estate), una notte stellata che suggerisce ricordi (l’inverno).
Con la leggerezza di un colibrì, Laura Fasson attraversa così i giorni del suo vivere e li incapsula con una ragnatela di arabesci di una danza lunga d’amore, con quei segni di pace e di fede che fa esclamare: “Grazie, mio Dio / di aver creato il firmamento, / per la gioia di vedere / le nuvole in volo e le stelle silenti, / per sentire il profumo / dei fiori e dell’erba tagliata”..."