Emigrare, se Dio vuole, in Svizzeradi Sia Graziano
Anno: 2012
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Dalla prefazione di Marzia Carocci:
Graziano Sia, attraverso un linguaggio lirico suggestivo e altamente immaginario, ci conduce nei suoi ricordi, in quel suo passato di emigrante, quando non rimaneva altro per sopravvivere, che andare a cercare lavoro oltre la propria terra, le proprie radici, la propria cultura. Parole vive, che incantano e commuovono e che spiegano chiaramente, gli attimi, gli stati d’animo, le difficoltà e la nostalgia di chi, come il nostro poeta, ha dovuto lasciare, la terra di origine e la propria famiglia. Graziano Sia, in questa sua silloge, costruisce una sorta di diario, con annotazioni accurate, e lo fa in poesia con immagini ricche di particolari che ci rendono spettatori di quel fenomeno lontano dalla nostra immaginazione, un fenomeno sociale che per anni ha diviso famiglie e affetti, migliaia di persone che si sono dovute adattare a cambiamenti repentini del proprio vivere naturale, una scelta dovuta alla mancanza di lavoro, in quelle terre che hanno subito trasformazioni per varie cause. Nostalgiche liriche che incantano e rendono i sensori in attesa; si sente l’odore acre del minatore stanco, l’odore delle zolle umide, del pane appena cotto, si vede la finestra “sbrindellata” accanto a un lettino disfatto, si respira l’olezzo del vento … Graziano Sia, nel suo libro non dimentica di rammentare le persone che hanno fatto parte del suo passato, di quella gioventù ormai lontana; ricorda la bella acquaiola, Martino “brizzolato” a venti anni, Don Luigi, sempre indulgente , Vincenzo detto il “selvatico”e la rimembranza costante della madre, quella madre nel ricordo, nella ricerca del suo viso attraverso il sogno, la preghiera, quella madre che è pensiero fisso nella ricerca dell’abbraccio in quell’amore che è eterno e indissolubile. Attraverso le particolarità che Sia descrive, ci immaginiamo la simbiosi fra la terra del sud, con i campi, i vicoli acciottolati, il sole caldo e le montagne della Svizzera con i suoi laghi, l’ordine, e l’ospitalità di una terra che offre a chi ha bisogno di sperare, di farcela, di sopravvivere. Pigiati sui vagoni di sola seconda classe, sonnecchiavamo come cavalli, s’avvertiva forte l’odore del sudore, di cacio, del lardo e del salame. Versi che da soli, rendono chiara la forza del pensiero del poeta che porta con sé ogni istante, quasi a volere assorbire tutta l’essenza e il vigore d’ogni attimo vissuto per non tagliare mai completamente quel cordone ombelicale con la MADRE terra; un ricordo da rivivere ogni qual volta si presenti la malinconia e il bruciore che riapre la ferita del cuore. Un viaggio poetico che diventa storia mano a mano che si legge, ogni pagina è costruzione e distruzione del tempo, della rimembranza di quella nostalgia che si apre in ogni suo verso. Una storia vissuta, narrata, con liriche toccanti e dense di verità sentite, passi di sogni, ostacoli e sudore, una lettura che fa riflettere ad ogni riga soprattutto quando Sia scrive: “Figli, non seppellitemi sotto le straniere zolle! al tepore della mia terra, nel mio paese vorrei tornare a riposare” “Seppellitemi con i miei morti all’angolo del quadrato, là vi sarà un pensiero, una lacrima e un fiore anche per me”. Con questo cantico emozionale, ogni altro commento è superfluo, la forza viva di queste parole, abbraccia con amore e calore la propria terra, mai dimenticata ed esiliata dal cuore! |