Amori e soprusi - i racconti di Dionigidi Mainini Dionigi
Anno: 2021
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Appunti, la cui visione è consigliata solo a lettori corredati d’indole gentile e generosa, disponibili a condividere con lacrime, sorrisi e risate, emozioni altrui.
… la lettura di questi racconti ci ha fatto vivere toste emozioni, foschi stupori, dolorosi turbamenti e spregevoli irritazioni, ma anche formulare compiaciuti sorrisi e corroboranti risate. Da tutto ciò, epistolarmente offriamo a personaggi e autore, rose rosse e rose nere come quelle in copertina. Gino e Gina -Scusa Gino. Sbaglio, o abbiamo già letto un libro di questo autore? -Si, abbiamo già letto un suo libro. -E, se ricordo bene, quanto a serietà lasciava molto a desiderare, vero? -In quel libro l’autore si prefiggeva di far sorridere e ridere, e così è stato per entrambi, non puoi negarlo. -Sì, non lo nego. Ma mentre quel genere di lettura a te aggrada molto, a me aggrada molto meno, e se questo libro è come l’altro… -Gina, la postilla sottotitolo dice sia adatto a lettori di indole gentile e generosa, e tu… -Io sono d’indole gentile e generosa, ma non voglio vadano sprecate tali mie qualità su un libro poco serio o addirittura osceno. -Esagerata. Non era osceno l’altro libro, era vispo, allegrotto. E il titolo di questo è amori… -Sì, amori e soprusi e non vorrei si rivelasse sopruso nei riguardi di chi lo legge. Tu hai già letto qualche pagina? -No. Il titolo m’è sembrato idoneo ai nostri gusti, la postilla sottotitolo mi ha incoraggiato, e a farmi decidere di acquistarlo sono state le due rose in copertina. -La copertina non è mai lo specchio sincero del contenuto. -Gina, se sarai coinvolta emotivamente in modo eccessivo, se il linguaggio ti sembrerà mortificante, se ci saranno fatti incresciosi, lo potremo sempre cestinare, non ti pare? -O se sarà poco serio come speri tu sia, lo leggerai da solo vero? Niente affatto. Voglio leggerlo io per poterlo giudicare. Cominciamo. Sei messo comodo? -Sì tesoro. Comincia pure.
IL BUON CARCERIERE
Il giorno in cui gli rivelarono la perdita della sua libertà non lo dissero apertamente ma Claudio capì che era per tutta la vita senza possibilità d’appello, e rimasto solo pianse invocando l’aiuto di sua madre, ma lei non c’era. Da allora, la sua mente fu tesa a respingere quella sentenza. Anche quando finalmente gli concessero di tornare a casa non si tranquillizzò, e la propria disperazione la riversò sull’unico essere umano con cui aveva contatto, che come un buon Carceriere mai lo abbandonava e accudiva, subendo le sue crisi nervose senza mai reagire. Di giorno, Claudio imprecava ai suoi amorevoli solleciti ad ingoiare cibo e medicine. Lo zittiva quando balbettando gli suggeriva di riflettere e rassegnarsi all’evidenza. Lo scacciava quando muto restava sulla sedia accanto al letto in attesa di intervenire e soddisfare ogni suo bisogno. Di notte, con rabbia e astio Claudio implorava il Crocefisso appeso alle sue spalle sul muro, affinché intervenisse a porre fine alla sua esistenza. Da solo non poteva riuscirci, perché il Carceriere era meticoloso e attento a non lasciargli a disposizione alcunché potesse servire all’insano proposito. Poi, col passare dei giorni il Carceriere trovò il modo di fargli ingerire i calmanti e Claudio gradatamente si calmò e pur taciturno e ingrugnito smise di contrastare tanto violentemente la sua devozione meditando, mentre scorreva lo sguardo sul poster di Springsteen, sulle coppe vinte nei tornei di tennis e sulle foto che lo ritraevano sui campi da sci, su quale fosse la peggiore perdita di libertà. Quella di parlare, vedere, sentire, amare, o la propria, di poter star ritto, camminare, correre, e a volte si consolava, a volte si disperava. Il giorno in cui giunse la carrozzina Claudio accettò di esservi posato ma subito allontanò il Carceriere perché la sua commozione lo irritava e rimasto solo, con una gran nodo alla gola s’attardò a guardarsi nel grande specchio del guardaroba finché dai vetri della porta balcone qualcuno attirò la sua attenzione. Era il suo caro amico d’infanzia che s’agitava, il compagno di giochi spensierati ed avventurosi da tanto rempo da lui ignorato. Tante altre cose aveva trascurato negli ultimi anni, trascorsi a vivacchiare all’università, a far scorrerie nelle discoteche o sui campi da sci o al bar, con gli amici. Amici che dopo l’incidente, anche per colpa sua, si erano rarefatti e poi dissolti lasciandolo solo, prigioniero in quella cameretta, alla mercé di un Carceriere noioso e meticoloso… e con la sola compagnia di quel ramo amico oltre il vetro, che col suo movimento buffo e accattivante come rivolgesse un saluto ad ogni sbuffo d’aria, riuscì a distoglierlo dall’apatia tanto da invogliarlo a salutarlo al mattino, augurargli la buonanotte la sera, addirittura a confidargli propri tristi pensieri mentre lui fermo o dondolante pareva ascoltare, docile e comprensivo. Certo ogni volta Claudio irrideva la propria ingenuità ma ne era al contempo appagato e un giorno al vederlo agitarsi, disperato e impotente alla forza del vento, desiderò accarezzarlo per calmarlo ma la carrozzina non riusciva a superare la soglia della porta balcone. Claudio provò allora a sporgersi, allungando il braccio più che poteva per raggiungerlo ma mancava ancora tanto e al vederlo dibattere come se pur lui si stesse sforzando per toccar la sua mano tentò e ritentò finché esausto s’arrese, e pianse. Pianse anche durante la notte, mentre dai vetri vedeva la luna sbirciare tra i rami, e lui ancora ferocemente sballottato. Il mattino successivo, il vento s’era calmato. Claudio attese che il Carceriere dopo averlo sistemato nella carrozzina si allontanasse, aprì la porta balcone, sporse il braccio, tese la mano e con grande stupore e senza fatica riuscì a toccare e addirittura trattenere nella mano, il ramo. Cos’era successo? Si era meglio disposto con la carrozzina? Era riuscito a sporgersi di più o lui, volontariamente gli si era avvicinato? Emozionato, accarezzandolo, incredulo ma riconoscente, sentendo gli occhi riempirsi di lacrime Claudio alzò lo sguardo alla ricerca di un punto ove rivolgere un grazie, e al vedere tutti i rami contemporaneamente agitarsi come in saluto balbettò ciò che il cuore gli suggeriva, provando la certezza d’esser ascoltato.
Occorsero due giorni al Carceriere, per approntare una pedana che gli permettesse di uscire con la carrozzina sul terrazzino, e appena fu disposta Claudio rifiutò il suo aiuto, chiese d’esser lasciato solo, attese che s’allontanasse, subito tentò e ritentò sinché riuscì ad uscire e… no, non abbracciò il ramo, lo trattenne tra le mani, lo accarezzò, lo odorò e gli parlò, mentre alle sue spalle, rientrato in punta di piedi, il Carceriere ascoltava, si commuoveva e cercava coraggio per avvicinarglisi e dialogare. Lo trovò. Tossì per avvertire della propria presenza, s’avvicinò e disse: “Sai Claudio, forse non te l’ho mai detto, ma questo pino l’ho piantato io proprio il giorno in cui sei nato, e… è come fosse tuo gemello.” e soggezione e commozione trasparenti dalla sua voce generarono una stretta al cuore di Claudio, che però restò muto. “Questo ramo però dovrei tagliarlo. Ormai invade il terrazzino.” aggiunse il Carceriere. “No babbo, ti prego, non farlo. Questo ramo mi fa compagnia. È mio amico.“ “Un ramo… tuo unico amico?“ balbettando chiese il Carceriere, osando, come da tanto desiderava fare, accarezzargli i capelli. Claudio, lo lasciò fare, poi cercò la sua mano, la portò alla bocca e la baciò sul palmo, lungamente.
* Fine *
-Gina, abbiamo cominciato proprio bene. -Che vuoi dire? Questo racconto… io mi sono commossa. -Appunto. Me ne sono accorto. -Gino, per un genitore avere un figlio in quelle condizioni deve essere terribile. -Certo. -Ancor più terribile è per il ragazzo, sapere che sarà infermo per tutta la vita. Poverino, invocava la madre ma lei non c’era, gli amici lo avevano abbandonato, solo il babbo gli è rimasto vicino… e il pino, suo gemello. Bello il loro rapporto vero? Quel ramo che s’è allungato… -Solo suggestione. -Solo suggestione forse ma a me è piaciuta. Pensare possa esserci amicizia tra un ragazzo e un albero… -Gina, restiamo coi piedi per terra. Amicizia con un albero? -Perché scusa? Sono cresciuti assieme e quel ragazzo giorno per giorno avrà con lui giocato. Anche nostro figlio giocava sempre col salice piangente, non ti ricordi? -Sì, mi ricordo. Tirava di scherma col tronco e coi rami. -Gli parlava, e io lo sentivo. A volte il salice era un indiano, a volte un pirata… -Sì, ma da questo dire che fra nostro figlio e il salice c’era amicizia… -A me piace pensarlo. -Gina, anche a casa dei miei c’era un noce con cui da ragazzo giocavo. Enorme, sorreggeva un’altalena su cui dondolavo e ben in alto, su un grosso ramo avevo legato un vecchio cuscino su cui spesso sedevo e con la fionda attendevo l’arrivo dei passeri. -E li uccidevi? -Non son mai riuscito a beccarne uno. -Meno male. Ma, non ricordo quel noce a casa dei tuoi. -Non puoi ricordarlo perché quando sei apparsa tu era già sparito. Avrò avuto quindici o sedici anni quando l’han tagliato perché si era ammalato. -E non ti è spiaciuto? -Sì. È spiaciuto a tutti. A mia madre perché d’estate passava interi pomeriggi sotto di lui all’ombra, seduta a cucire. A mio padre perché era orgoglioso, fosse così alto e grosso. A mia nonna perché l’aveva piantato suo marito, nonno Andrea. -Da come lo stai ricordando pare proprio fosse uno di famiglia quel noce. -Ma dài. Sì, in autunno ci regalava noci molto buone, d’estate ombra e cinguettii, d’inverno carico di neve era uno spettacolo, e io e il babbo ci arrampicavamo per agitare i rami e alleggerirli dal peso… dovrei avere vecchie foto in cui lo si vede, quel bestione. -Vedi, lo stai ricordando con affetto. -Sì. Ma da tutto ciò dire che tra me e lui ci fosse amicizia… ah, ah, ah, eravamo tanto amici che un giorno mi ha fatto incespicare in una radice, son caduto, ho sbattuto la testa e han dovuto portarmi dal dottore. -Ah, ah, ah… ti ha fatto lo sgambetto. -Bell’amico. Però hai ragione, lo ricordo con simpatia. Ma ora bando a ricordi e sentimenti floreali. Passiamo all’altro racconto e speriamo sia più allegro. |