L'incipit del primo racconto, che dà il titolo alla silloge:
Lucio e Lisetta erano due vecchini, vivevano in una casetta azzurra ai margini del bosco.
Lucio era un uomo alto e forte, conservava i segni di una bellezza virile, rigorosa e fiera, l'espressione seria e pensosa era addolcita da uno sguardo limpido che si perdeva nel fondo nerissimo dei suoi occhi.
Da giovane si diceva avesse fatto strage di cuori tra le pulzelle del villaggio.
Era un uomo taciturno, parlava lo stretto necessario, conservando per l'amata moglie Lisetta, le più tenere parole d'amore.
Lisetta al contrario di Lucio, era una donnina minuta, all'apparenza fragile, non era mai stata bella, gli anni avevano asciugato le forme un giorno prosperose, donandole un'agilità rara in una donna della sua età. Raramente stava ferma, pressata dai mille pensieri e dalle mille mansioni che la mente fertile comandavano al corpo ormai stanco.
Lucio a volte si adombrava di vederla sempre in movimento, l'avrebbe voluta vicina per assecondare con lei lo scandire del tempo, spesso le diceva: "Fermati Lisetta, non correre, finirai per cadere e farti male". Ma lei non se lo dava per inteso e continuava imperterrita la sua dinamica giornata, sostenuta nella fatica dalla paura di non riuscire a svolgere tutti i compiti che il suo cervellino elaborava. La casetta risuonava di musica da mane a sera, Lisetta a suon di musica riusciva meglio nei suoi compiti. A volte all'improvviso si fermava, correva a Lucio, lo guardava in sottecchi e ancora dopo tanto era felice, con voce querula gli sottoponeva quesiti che le alambiccavano il cervello. Lui alzava lo sguardo dal libro che quasi sempre teneva tra le mani e sfilando gli occhiali, con voce paziente cercava risposte che appagassero la curiosità di Lisetta. Lei muta lo guardava quieta come se dalla bocca di Lucio uscisse ogni volta la quinta essenza della verità.