UN SERPENTE DI BRONZOdi Fernandez Motzo Agata
Anno: 2011
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UN SERPENTE DI BRONZO
Dalla schiavitù liberati,
da gran tempo gli Israeliti
dall’Egitto si erano allontanati.
La vita nel deserto era assai dura
e, nonostante la Provvidenza
li assistesse con quotidiana cura,
avevano perso la pazienza
e, contro Dio ribelli, rimpianto
nutrivano per quelli
dai quali erano scampati.
Da serpenti velenosi piagati,
il fio pagarono
dei loro peccati.
Mosè allora, per divino consiglio,
un serpente di bronzo fece elevare
guardando il quale
ottenessero i pentiti
la grazia di essere guariti.
Gesù nel Vangelo di Giovanni,
l’apostolo che della Passione
un quadro ci lasciò dei Suoi atroci affanni,
parla del serpente, ma sancisce
la divina discendenza
ripetendo agli increduli farisei
“Io sono” come la Voce del Padre,
disse a Mosè la prima volta
per farsi riconoscere,
quando gli Israeliti in sua assenza
fecero con un vitello d’oro
la prima rivolta.
Il serpente è lo stesso che più tardi
il profeta Isaia a un verme somigliò
profetizzando
come avrebbero ridotto il Messia.
Ma il serpente che ha da vedere col Messia?
Il serpente raffigura il peccato.
Incredibile, ma vero:
il Puro, il Divino, l’Immacolato
in questo mondo venne, Verbo Incarnato,
e per la nostra redenzione
i nostri errori addossò su di sé
e divenne peccato.
Guardando il Serpente innalzato
gli Israeliti ancora non hanno capito
che esso salvava
perché era lo stesso Verme
di cui ebbe visione Isaia,
lo stesso Crocifisso,
trasfigurato dall’umano peccato,
che, redenti, ci ha salvato.
Ma tu, uomo, che di pietra hai il cuore,
e confesso anch’io, senza falso pudore,
quando mai potrai capire
cotanto infinito, divino amore?
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