Un po' di letteraturadi Ferrara Grazia
Anno: 2024
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Dalla prefazione di Teresa Cecere:
Prefazione
Un po’, solo un po’ di letteratura. Questa la premessa del saggio di Grazia Ferrara. È una premessa che sa di aritmia, di disarmonia tra sistole e diastole, che profuma di timbrica ora sonante ora dis-sonante, che suona, risuona e suona ancora. A volte rimbomba, anche. E persa nell’accavallarsi dei suoni, delle immagini, delle andate e dei ritorni, la prosa si fa diario, canto, teatro. Qui, su questa scena, c’è tutto il senso dell’ex-perire, del maneggiare, dell’osservare e del verificare, del sottoporre ad analisi, a sintesi (ardite!), del provare e riprovare, del cucire e scucire un esperimento che continuamente richiede verifiche da laboratorio, scavo, autopsia di parole e pensieri e, in fondo, del morire e del dolce naufragar in questo mare. È tutto qui, Leopardi, tutto. Compresso e compreso nello spazio concettuale di un esperimento, laddove sintesi ed analisi si integrano, cantano insieme persino, a volte con voci stridule, altre con lacrime dolci che sanno di sale. In questo secol di fango, pago di mediocrità, l’experimentum di Grazia Ferrara ci ricorda che le parole devono avere un senso, le strutture profonde e quelle superficiali possono ad un certo punto diventare coincidentia, che c’è bisogno di chunking per comprendere non solo Leopardi, ma noi stessi, gli altri e questo mondo. Per questo mi pare di scorgere che la scrittura di Grazia Ferrara ci inviti ad una sfida: rimodulare (e torna la musica, il canto, la dissonanza!) noi stessi attraverso un gioco letterario, metafora del lusus vitæ, in cui ciascuno sia obbligato ad una operazione ineludibile e quanto mai necessaria, oggi. Si tratta di rimettere al centro l’Amore. È quello di Leopardi, ma è anche quello di Pirandello e Marta Abba. È l’amore che distilla Caos e Cosmos, inferno e paradiso, vapore e ghiaccio. È l’amore che sublima e raccoglie, proprio come la lettura. Leggere è raccogliere, ci ricorda Grazia. Un filo si dipana, da Dante a Pirandello, in una circolarità che sa di rimembranza, profuma di ricordi, si concretizza in grafemi, parole, testi. In una parola, letteratura. È la condizione della nudità, come il mare, come nuvole e vento, fluidi e vaganti, realtà evanescenti, disincagliate da ogni strumentale orpello. E mentre siamo avvolti da questo incessante ex-perire, appare Ecco. Tre atti che rimandano al senso dell’humanitas, medicina della nostra stropicciata sconquassata interiorità. Tre atti che riportano tutti noi, lettori, al centro di un palco, muti, di spalle, in una sala immersa nel buio. Ci chiediamo se siamo il sogno di una nostra realtà che vive solo dentro di noi, o se siamo realtà vive e concrete che sognano di se stesse per come si vorrebbero. E lì, nella nostra affollata solitudine, inghiottiti nel buio e nel nulla, confusi, piangiamo convulsamente. Con gli occhi arrossati si screpolano i pensieri. E già sanguinano.
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