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IL DERBY DELLA LUNA

di Mattiuzza Maurizio

Anno: 2010
ISBN: 978-88-96274-47-7
Prezzo: 7.00 €

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Introduzione di Mauro DALTIN e postfazione di Bruno PIZZUL 
 
Dalla prefazione: Profumano di neve e di notti di luna piena i racconti di Mattiuzza. Notti in cui può capitare di tutto, dove un pallone rotola e gonfia una rete, o giorni dove le linee di un campo da calcio di periferia sono cancellate da una nevicata di marzo o dove, ancora, accade che un vecchio, barricato dentro casa, ricordi un rettangolo verde spazzato via dalle ruspe del progresso. E poi il calcio. Il calcio c’entra in queste tre storie. Anzi, c’entra il pallone, perché il pallone è gioco, cosa tremendamente seria. mentre il calcio è spettacolo, lustrini e pailette. Il pallone è quello giocato sull’asfalto dove i muri fungono da sponde per scartare gli avversari e il “fuori” non esiste, e si corre finché c’è da correre, si scavalca un muro per recuperare la palla e la porta di una squadra è un metro più piccola di quella degli avversari. Tutto questo ha a che fare con le questioni serie della vita, con le coincidenze, con gli spigoli che deviano all’ultimo momento un tiro. È un calcio di strada, sport proletario: non serve comprarsi niente, non c’è attrezzatura; una palla di carta e tanto fiato bastano. E se sei medico o operaio non importa, sei nello stesso rettangolo a sgomitare e rincorrere il pallone. Il ritmo delle storie di Mattiuzza lo definirei balkan-argentino, un tango malinconico con spruzzate di fisarmonica e tromba a ricordarci che tutto, pallone compreso, può essere bevuto come una rakija o giocato come fosse la partita della vita o della morte, o forse, più di tutto, può essere fotografato come la danza di un ballerino mezzo ubriaco aggrappato alle spalle di una donna rassegnata. Questi racconti si muovono su due terre lontane, diversissime, ma anche incredibilmente vicine: i Balcani e il Sud America. 
 
Dalla postfazione: Mi sentirei di esordire con un consiglio a chi abbia letto una prima volta Il derby della luna: lo rilegga, con calma, riassaporando le atmosfere particolari, incontrando di nuovo i protagonisti dei racconti, gustando lo svolgersi del flusso narrativo, perennemente sospeso tra il reale e l’onirico, in una dimensione che suscita nel lettore curiosità, sorpresa, con il perenne invito a meditare situazioni esistenziali nelle quali il calcio diventa costante sfondo di riferimento. L’autore si è ben segnalato per la sua collaudata vena lirica che riesce a travasare anche in questa sua opera in prosa, indagando in maniera intrigante nei sentimenti e nel vissuto dei suoi personaggi; l’accuratezza formale è poi palese indice di naturale propensione al racconto, tanto che i vari protagonisti restano scolpiti nella memoria per il loro modo di essere, per il piglio in cui affrontano i casi personali della vita, talora per l’apparente stranezza dei comportamenti . C’è perennemente sospeso un vago senso di nostalgia e di rimpianto, per ciò che c’era e non c’è più, per quello che avrebbe potuto accadere e non è accaduto. Le vicende personali si innescano in un mondo feroce e difficile, capace perfino di frustrare i sogni dei ragazzi, di impedire agli anziani la possibilità di portare due rose sulla tomba della moglie, di indurre ad atteggiamenti strani i disillusi, in una collocazione temporale e spaziale che, in qualche modo, agevola l’immergersi in un clima di affabulazione coinvolgente e di implicita solidarietà umana con i personaggi disegnati da Mattiuzza. Dell’autore meraviglia anche la conoscenza del calcio, come gioco e come fabbrica di sogni e di illusioni, soprattutto ove svela le tormentate vicende personali del giovane aspirante campione, capace di costruirsi da bambino la propria carriera virtuale esercitandosi come telecronista negli angusti spazi domestici e poi scaraventato nel delirio della guerra e della follia umana. Ma come non ricordare, oltre al racconto che dà il titolo all’intera opera, quelle due struggenti rose per Ada e la neve di Edy? 
A chiudere il tutto l’afflato poetico di Folbar in cui l’autore conferma la sua padronanza della lingua friulana, singolare anche perché egli non è friulano di nascita. Con quel “opsai” finale che fa da contraltare inquietante, non solo lessicalmente, al “Folbar” d’esordio che tanto pareva promettere. Confermo: da rileggere. E un bravo di cuore a Mattiuzza, per quel che può valere l’apprezzamento di un vecchio pallonaro, anzi “balonîr” come me.