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ELEGIA PER NADIA ANJUMAN

di Contilli Cristina

Anno: 2006
ISBN: 978-88-89209-29-1
Prezzo: 6.00 €

image Silloge poetica a cura di Cristina Contilli ed Ines Scarparolo in memoria di Nadia Anjuman, poetessa venticinquenne afghana uccisa dal marito il 4 novembre 2005.
In questa raccolta poetica si possono leggere alcune opere della Poetessa Nadia Anjuman e liriche ispirate dalle sue vicissitudini ed a lei dedicate da Mariateresa Biasion Martinelli, Luciana Chittero, Francesca Conforto, Annalisa Macchia, Michela Mussato, Rosetta Monteforte Rocalbuto, Dragan Petrovic, Giuseppina Ranalli, Lorella Rotondi, Maria Elsa e Ivana Scarparolo, Carlo Tognarelli oltre che delle due curatrici.
 
Recensione di Luciano Nanni 
Recensione di Giuseppina Luongo Bartolini, ospitate dal sito Literary 
 
Sul quotidiano on-line Notiziarioeolie.it è stato pubblicato questo articolo di Daniele Sequenzia:
 

Caro Direttore,

Nadja Anjuman... simbolo della lotta delle donne afghane “ancora oggi”, scrive sul Notiziario Martina Costa, “tante, troppe donne sono costrette a sottomettersi, a non esistere, alto il loro grido di dolore”.
Donne in prigione in Afghanistan, dove non esiste parità di diritti, come in moltissimi Paesi, dove la Donna è ancora “oggetto”, cosa, merce di scambio, di scarso valore; dove segregazione e isolamento, punizioni e sorveglianza, la privano di ogni libertà di scegliere. Come recita la bellissima poesia scritta dalla sfortunata poetessa afghana Nadja Anjuman*

«Cosa posso fare con un’ala intrappolata che mi impedisce di volare?».

È una domanda che ci poniamo tutti: perché tanto odio contro le donne?

“Il Paese peggiore per nascere donna”, da decenni l’Afghanistan è una prigione. Herat, detta anche “la città dei poeti”, è tra le città con il più alto tasso di “esecuzioni” nel Paese. È difficile identificare delle stime attendibili sui crimini compiuti contro le donne, data la ridotta percentuale di quelli che vengono effettivamente denunciati.
Molte sono le donne che soffrono. Donne punite, picchiate e uccise.

Un vero inferno vivere a Kabul.

Con la nuova legge “talebana” islamica viene imposto a tutte le donne afghane di nascondere tutto il corpo e il viso, quando sono in pubblico, pene severe, proibito indossare qualsiasi tipo di diverso moderno indumento. Le donne afghane non possono cantare, recitare o leggere ad alta voce in pubblico, la donna afghana non deve aprire bocca, parlare, secondo i talebani la voce di donna è considerata parte “proibita”, esattamente come altre parti del corpo considerate “sessuali”, intime. La sessualità, in ogni sua libera forma, a Kabul è repressa con ogni mezzo, severamente punita.

Ovunque ci sono proibizioni. Si vieta a tutte le donne di viaggiare, muoversi, essere indipendenti, obbligatorio essere “accompagnate” sempre ed ovunque da un uomo con cui hanno uno stretto rapporto di famiglia, praticamente in schiavitù, tutti gli altri “maschi” non esistono, ogni minimo rapporto è severamente proibito.

Le bambine afghane sono obbligate a frequentare classi elementari solo femminili. Impossibile per loro accedere alle Università. Tutto ciò in forza della Legge talebana che ha il compito di “Prevenzione dei vizi e la Promozione delle virtù´”. Sono vietate la produzione e la diffusione di immagini rappresentanti ogni altra “cultura”, punito l’ascolto di ogni tipo di musica, ignorata la lettura, la tv, il teatro, il cinema, la conoscenza, il progresso.

Oggi l´Afghanistan registra una profonda crisi economica e sociale, ingigantita dall’isolamento e dalle sanzioni internazionali, in cui milioni di persone sono precipitate in una condizione di povertà estrema e fame. Da oltre tre anni in cui le donne afghane stanno subendo pesanti imposizioni alla loro libertà. Intollerabili sono le politiche repressive nei loro confronti, nel lavoro, nell’educazione, nella vita quotidiana. Ma le donne afghane continuano a lottare per la loro libertà. Sfidano la repressione dei talebani, combattono la tirannia, con un coraggio straordinario.


*Nadja Anjuman è stata vittima delle continue atroci persecuzioni dei talebani; lo stesso marito di Nadja fu costretto a picchiare a morte sua moglie.

Era una giovane ragazza, piena di vita, di venticinque anni quando il suo aguzzino, l’uomo che aveva sposato, l’ha uccisa brutalmente. Perché donna, perché poetessa. Massacrata per aver declamato le sue poesie in pubblico. Secondo i talebani, suo marito aveva diritto di vita e di morte. Secondo la tradizione talebana, Nadja non doveva scrivere poesie, non doveva coltivare la lettura. Non doveva esistere.

Gli stessi parenti dovevano obbligarla al silenzio, anche loro, costretti con la forza, non hanno potuto salvarla.

Oggi Nadja vive nelle sue poesie.

Sia “Gole Doudi” che “Yek Sabad Delhoreh” furono pubblicati per la prima volta in Afghanistan.

La raccolta di poesie di “Gole Doudi” è stata ristampata in Afghanistan almeno tre volte e ha venduto oltre 3.000 copie. 

 

Cristina Contilli, Ines Scarpolo e M. Badihian Amir hanno tradotto in italiano l’opera di Nadja Anjuman in un volume intitolato “Elegia per Nadia Anjuman”, pubblicato dalla casa editrice Carta e Penna di Torino nel 2006.